venerdì 18 dicembre 2015

la polemica del Natale

Ieri, sul gruppo mail del comitato genitori e su quello del consiglio di istituto (si, mi hanno eletto al consiglio di istituto, mamma mia!) è arrivata una garbatissima richiesta che prendeva le mosse da un piccolo evento.
Una persona raccontava che, alcuni giorni prima della recita scolastica della sua classe, un babbo di  un'altra nazionalità le aveva telefonato per sapere se nello spettacolo c'era qualcosa di "religioso" e lei si era chiesta: "quale percezione hanno le persone che vengono da un altro paese della nostra scuola/società? Concludendo che "se un genitore si è sentito in dovere di chiedere una cosa che per noi è scontata (intendo la laicità della scuola pubblica) vuol dire che per lui non era scontato. E quindi chiedeva "esistono dei documenti che spiegano ai genitori che cos'è la nostra scuola? al momento dell'iscrizione vengono date tutte le indicazioni possibili?"
Come si può capire questa persona è, non solo aperta ed intelligente, ma anche sensibile.
Merce rara
E infatti anche in questi gruppi, pieni di persone che apprezzo e rispetto, c'è chi è sentito in dovere di partire con la solita, stantìa, polemica sulle nostre tradizioni culturali e sul fatto che tutti dovrebbero accettarle.
Ora a parte che ci sono tradizioni di molti paesi, compreso il mio, che non sono affatto disposta ad accettare e non vedo perchè dovrei; a parte il fatto che credo che si possa criticare tutto nella vita, pur nel rispetto delle convinzioni altrui e quindi, non tollero per principio la posizione del "qui è così, se no vattene" che mi pare la più ottusa possibile; a parte il fatto che quando mi vengono fatti paragoni tra l'Italia (che farà anche schifo, ma è una democrazia con una sfilza di principi fondamentali e convenzioni internazionali sul rispetto dei diritti umani che non la salterebbe un cavallo parecchio bravo) e paesi come l'Arabia Saudita, l'interlocutore perde subito quella decina di migliaia di miliardi di punti.
A parte tutto questo, che comunque non è poco
Io credo che sarebbe utile cercare di coinvolgere i genitori stranieri aiutandoli a capire non solo le regole degli istituti che frequentano i loro figli (patti di corresponsione educativa in primis), ma anche modi di essere e pensare che per noi sono automatici (che li condividiamo o meno) e per loro no, magari non sarebbe male nemmeno accettare che, una volta scoperti, certi modi li comprendano ma non piacciano comunque loro.
Ho un cognato che vive negli USA e non credo che sia un idiota quando critica alcuni aspetti della sua vita quotidiana. Non è che, perchè ci vive, deve prendere tutto il pacchetto senza potere dire niente. Anzi magari può dare un piccolo contributo portando un punto di vista un po' diverso.
Io del crocifisso in classe farei volentieri a meno e non perchè non sia cattolica, perchè non lo trovo appropriato.
Sono d'accordo coi francesi (che quanto a tradizione culturale non sono così lontani): nei luoghi delle istituzioni i simboli religiosi non c'entrano, bastano quelli dello Stato.
Dopo di che, non demolisco la scuola per un crocefisso, ma non vedo perchè uno debba mescolare piani che dovrebbero restare distinti.
E infatti, una delle persone che ho trovato più pacata è stata una cattolica praticantissima la quale, forse proprio per questo, ha scritto che capiva benissimo quel genitore perchè, magari, trovarsi un ragazzino che cantava "tu scendi dalle stelle o Dio del cielo e vieni in una grotta la freddo ed al gelo" poteva non andare d'accordissimo col fatto che in casa, a questo bambino raccontano di un Dio diverso.
Non mi pareva uno scandalo.
Quello che mi pare uno scandalo è che mi si vogliano fare passare dati religiosi, confessionali (presepi, canzoncine "da chiesa", crocefissi), come "dati tradizionali" e non perchè in qualche misura non sia anche vero, ma perchè la trovo una terribile mancanza di rispetto verso la religione che si sostiene di professare.
Mi suona terribilmente stonato, come se un musulmano mi dicesse "ah si la Mecca, sai ci andiamo tutti una volta nella vita, è una gita che si fa per tradizione!" o un ebreo mi parlasse della torah come di un rotolo di carta avvolto in un panno.
Naturalmente, poi, la responsabilità del fatto che certe "tradizioni" siano sempre meno sentite. non è nostra, noi abbiamo ben ferme in testa le radici della nostra cultura (tutte, anche quelle un po' così), la colpa è degli altri, di quelli che non ce le hanno e preferiscono, guarda che strano, le loro.
Come no.
Se a Natale vai al cinema invece che a messa la colpa è dei musulmani, degli ebrei, dei buddisti e dei sincretisti, ma a scuola i simboli religiosi devono esserci e per quello, a frotte, pare, sono pronti ad immolarsi come i protomartiri davanti alle fiere
Bah!
Intanto. a scuola, aspetto di vedere le luci di Hanukkah chè sui musulmani non voglio dire nulla, ma sulle comunità ebraiche insediate in Italia da millenni e quindi, sicuramente parte della tradizione, si possono scrivere intere enciclopedie (avendone il coraggio)

lunedì 14 dicembre 2015

Molto maschile

Un amico mi ha detto che ho un approccio molto maschile alla vita, che ho un modo di ragionare molto maschile.
Non era una critica e nemmeno un'offesa; del resto, lui è maschio e non appartiene all'insopportabile categoria dei denigratori del proprio sesso.
Nemmeno io, a dire il vero.
Essere donna mi piace.
E' innegabilmente una grandissima rottura di scatole in moltissime occasioni, ma è anche, altrettanto innegabilmente, un'inesauribile fonte di soddisfazioni.
Non ho mai desiderato altro.
Ciononostante la sua osservazione mi è piaciuta, mi ha gratificato in qualche modo, e lo ha fatto soprattutto, perchè non parlavamo di cose connesse al lavoro, ma alla vita privata, a quella intima, emotiva, personale.
A quella, in fondo, che per la vulgata dominante, dovrebbe essere tanto più intensa, soddisfacente, ricca, se vissuta con la propria "parte femminile", perchè gli uomini, si sa, sono troppo semplici, basici, ottusi, incapaci di sviscerare i rapporti e le relazioni così come il proprio vissuto più profondo.
Ecco io sono molto maschile.
Dopo un po' mi stufo

mercoledì 25 novembre 2015

E come eleganza

Argomento frivolo, ma forse neanche tanto.
Argomento scivoloso perchè certo eleganza è concetto assai relativo, appeso com'è ad una miriade di condizioni tra le quali spiccano la cultura in senso lato in cui si è immersi, la vita che si conduce e come si è fatti, dentro e fuori.
Argomento in fondo poco impegnativo chè, insomma, si vive benissimo anche senza soprattutto se non lo si è e non ci si tiene.
Ho sempre desiderato essere una persona elegante, anche a 15 anni, e nel tempo il desiderio non mi ha abbandonato.
Per elegante non intendo affettata, impostata, perennemente vestita da cerimonia o, per dirla fine, overdressed, intendo esattamente il contrario.
Del resto l'etimologia è chiara, l'eleganza sta nella scelta, nella capacità di scegliere.
Un capacità che ci restituisca un'immagine piacevole senza essere da un lato artefatta e dall'altra noiosa, semplice ma non banale, che riveli una personalità con grazia senza cadere nel teatro nè nell'omologazione.
Pare facile.
Certo nel tempo, il concetto si è evoluto, si è sminuzzato e ricomposto innumerevoli volte e, come molte delle idee astratte, alla prova dei fatti, ha dovuto accettare l'esistenza di infinite sfumature e prendere atto che ci sono più eccezioni che regole.
Se non ho mai fatto l'errore di confondere l'eleganza con la moda del momento, pretendendo sempre, ma con risultati spesso discutibili, di piegare questa a quella, ho spesso pensato che per essere eleganti occorresse avere stile.
Ma anche lì: cosa è lo stile, dove lo vendono? Ha stile chi paga qualcuno, in un modo o nell'altro, perchè lo vesta?
No.
Lo stile è personalità, uno dei molti modi di esprimerla seppure scegliendo mutande e magliette e quindi, anche, una roba che sa di spreco se ci devi rimuginare troppo, investirci più di un tot, chè se la personalità ce l'hai non passi certo le ore a scegliere le mutande e se non ce l'hai, allora è inutile, tanto lo stile ti mancherà.
E poi magari, proprio come scelta espressiva, l'eleganza può fare schifo, si può preferire il brutto, l'assurdo, desiderare di mostrarsi sempre sopra le righe o uscire col pigiama di pile con le mucchine.
Se ho l'impressione che la personalità sia la base imprescindibile dell'eleganza, di certo sono sicura che non vale il contrario, chè c'è gente dalla mente sublime che pare perennemente scappata di casa.
Quindi, per farla breve, non lo so.
L'unica è guardarsi allo specchio volendosi bene, ma non illudendosi e continuare a guardarsi intorno perchè c'è sempre da imparare.
Anche a contrariis  chè se una vuole uscire in pigiama almeno le mucchine di pile col rossetto per favore no

mercoledì 18 novembre 2015

Parigi a casa mia

Attila ha avuto un incubo.
Nell'incubo eravamo a casa, c'era una festa piena di parenti ed amici grandi e piccini: tutti i compagni delle scuole, quelli del karate, del nuoto, dei corsi di lingua, una multitudine insomma, e mentre eravamo tutti lì (a pestarci i piedi, immagino) qualcuno senza faccia nè nome ha inizato a mitragliare dall'alto, poi forse a bombardare, e c'era sangue ovunque, brandelli di carne viva, bambini morti, adulti agonizzanti.
Un incubo di quelli brutti davvero, tanto più brutti perchè veri.
Niente draghi o dinosauri sanguinari, nessun extraterrestre verde, nessuna generica paura ad attanagliare la gola e fare spalancare gli occhi.
E' così grande, così forte e così sereno in questo periodo, che è stato strano ritrovarselo tremante addosso, bisognoso del contatto fisico, dell'odore della mamma, del tono più che delle parole.
Mi ha detto che a scuola, i compagni parlavano di terza guerra mondiale, del Papa che avrebbe detto chissà che, dei terroristi e dei musulmani, della religione come di uno spartiacque: la nostra e quella altrui.
Gli ho detto che in classe con lui ci sono, e ci sono sempre stati bimbi musulmani, che uno è ebreo (infatti, dice, sostiene che è per quello che lui ha il pisello diverso, e a me viene da ridere), che non mi pare una buona idea distinguere così le persone, che dovrebbe imparare a giudicare le azioni e non la fede, che tutte le religioni inneggiano alla pace e tutte hanno scatenato guerre.
Prova a dirmi che non è vero, che i buddisti no, glielo ha detto lo zio e io demolisco anche questo mito chè diglielo a quella minoranza dal nome impronunciabile, musulmana, in Birmania, che i buddisti sono garbati e poi vedi che belle foto ti mostrano.
Ma non va bene.
Non è questo.
Non voglio che impari che tutti gli uomini sono belve, o possono esserlo.
Anche se è vero, anche se prima o poi, vorrei che lo capisse, che non facesse mai l'errore di pensare che "lui mai" perchè è diverso, ma imparasse a scegliere che "lui mai" perchè ha capito.
Vorrei che si sentisse libero di avere paura di ciò che non conosce, che non gli somiglia, ma che trovasse il coraggio di guardarci dentro e la forza di distinguere tra la paura che ha un senso e quella che è pregiudizio, razzismo, chiusura, superstizione, stupidità che fa danni.
Vorrei che non avesse più incubi, ma se deve averli, ecco, allora sono contenta che in quegli incubi, insieme a Jacopo e Vieri, ci siano anche Indrit e Toshiro 
Perchè niente distrugge i preconcetti più dell'esperienza, se di esperienza ne fai abbastanza.

sabato 14 novembre 2015

Parigi, più o meno

La televisione a casa non funziona ancora.
Non abbiamo una grande urgenza e così abbiamo deciso che potevamo tranquillamente aspettare il secondo appuntamento con l'amico mago, prima era meglio sistemare wireless, nas, ed ammennicoli vari.
In più ieri il babbo era in transferta conferenziera e non è comparso fino alle 22,00. A quell'ora gli unni dormivano e noi abbiamo ingurgitato un vassoio di sushi da asporto e li abbiamo imitati.
Così abbiamo scoperto di Parigi stamani, mentre ci crogiolavamo nel letto, in attesa che i barbari urlanti piombassero a reclamare coccole e colazione.
Non ho molto da dire.
Non sono brava in queste cose.
A dirla tutta faccio un po' schifo in questo genere di faccende.
 Quelle che non mi toccano, ma mi toccano più di altre che dovrebbero toccarmi, perché nessun uomo  è un isola intero in se stesso, ogni uomo è un pezzo di continente, una parte della terra, se una zolla viene portata via dall'onda del mare, la terra intera ne è diminuita....ogni morte d'uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell'umanità.
È stato difficile spiegare ai bambini, inutile cercare di dire da dove, come, perchè (perchè forse), ma è stato fondamentale via via che sui social ricomparivano citazioni della Fallaci, commenti a sproposito, rigurgiti di superiorità cristiana ben oltre il limite del grottesco.
I miei figli vanno a scuola con bimbi di molte nazionalità e non poche fedi religiose, più o meno sentite, non voglio che domani un compagno sia diverso dall'altro ai loro occhi e soprattutto che sia diverso da chi era ieri.
Sarò pazza, avrò il prosciutto sugli occhi e non capirò mai niente di niente, ma io credo nei principi che fondano la mia cultura e questi principi non mi dicono che miliardi di persone sono mostri da respingere e quello che ho imparato mi insegna che le fedi sono sempre state un ottimo paravento per interessi, desideri, bisogni molto, molto terreni.
Se ho torto, pazienza, preferisco vivere così che rinnegare tutto ciò che sono, in cui credo e che cerco di insegnare ai miei figli.
Alla fine, se deve essere una questione di tifo, io sto con Terzani tutta la vita, tanto era fiorentino anche lui è all'Oriana non gliele mandava a dire dietro.




venerdì 6 novembre 2015

E' facile essere tolleranti con le persone che ci sono indifferenti

Wilde mi perdonerà se gli rubo l'incipit.
E poi lui diceva che è facile essere cortesi, non tolleranti.
Forse gli sembrava di più.
In effetti la cortesia presuppone una maggiore attenzione della tolleranza, almeno parlandone in generale.
Nel mio caso invece io faccio proprio fatica ad essere tollerante, sulla cortesia non ho problemi: saluto, sorrido, ringrazio, faccio complimenti ai bambini e mi congratulo per le buone idee e le piccole iniziative portate a realizzazione.
Non provo simpatia, questo no, ma non la provavo nemmeno prima dell'intolleranza.
E' che siamo troppo diverse: a me quelle tutte zuccherose fanno venire le bolle. E' sempre stato così. Le zuccherose che hanno ricevuto in dono, con la maternità, la capacità di trasformare in zucchero tutto ciò su cui posano lo sguardo, poi, mi fanno scappare, odio sentirmi appiccicosa.
Mi spiace essere intollerante.
Mi piacerebbe essere in grado di rispettare le idee e le scelte altrui, sempre e comunque, anche quando non sono d'accordo, anche quando penso che siano stupide, ignoranti, aberranti.
In questo caso però proprio non ce la faccio.
Sarà che quando ti toccano i figlioli, i principi vanno un attimo a farsi un giro, sarà che certi principi sono così importanti che quando confliggono con altri in cui credi, gli altri cedono, non lo so.
So però che la mamma anti gender dell'asilo non la tollero.
E non è che non la tollero perchè dice cose folli irrazionali, patetiche, perchè crede a pseudonotizie che nemmeno il lercio, perchè sostiene la pericolosità di certi libri che a me sono sempre parsi da standing ovation.
No.
Oddio, anche.
Fondamentalmente però non la tollero perchè chiede, anzi pretende, che la classe si adegui alle sue idee, alle sue paure ai suoi timori.
E lo pretende con tanta forza che vorrebbe tutto l'istituto cambiasse il patto educativo in vigore da una decina d'anni perchè ora come ora si "propone lo sviluppo armonico del singolo nel rispetto delle diversità di ognuno".
Sia chiaro lei ha un caro amico gay (come tutti quelli così), ma certe cose non si possono proprio accettare.
Immagino che possa cambiare scuola, perchè non otterrà mai ciò che chiede, ma otterrà una maggiore attenzione in classe, una minore libertà delle maestre nel parlare di certi argomenti o nel creare percorsi ludico - educativi di un certo tipo, nella scelta delle storie su cui organizzare il gioco teatro ed in una miraide di altre piccole grandi cose.
E tutto questo perchè? perchè forse, tra vent'anni, suo figlio o sua figlia potrebbero scoprirsi gay per colpa di chi, da piccoli, li ha lasciati giocare impropriamente con le bambole o le macchinine, ha letto loro di una principessa che ha salvato un principe da un drago (massacrando i congiuntivi), li ha accompagnati nella loro crescita in modo rispettoso delle loro diversità.
Non ce la faccio.
Non riesco ad essere tollerante.
Io, ecco, mi vergogno, ma ho già fatto una cosa terribile: le ho fatto notare che i bagni a disposizione della sezione non sono divisi per sesso

http://video.repubblica.it/edizione/firenze/rossi-legge-la-fiaba-contestata-della-principessa-e-il-drago/216560/215744



mercoledì 4 novembre 2015

Il senso del miracolo

Svuoto scatoloni.
Alcuni sono stati riempiti con metodo ed attenzione.
Altri sono stati stipati di fretta, con cose che si desidera conservare, ma non tornerannno utili per molto tempo, forse mai.
In fondo ad uno dei più grossi c'è una scatola di plastica leggera, si è un po' schiacciata col peso di ciò che stava sopra e la tiro fuori a fatica, perchè è incastrata,
E' trasparente ma di primo acchito si vede solo una massa di bianco, azzurro ed azzurrino.
So cosa c'è dentro e non ho tempo da perdere, come sempre.
Ma questo non è tempo perso, questo è uno dei simboli delle ragioni, delle mie ragioni.
La apro e tiro fuori un fiocco di tela aida, mani pazienti lo hanno ricamato con un nome lunghissimo ed una bella cicogna, altre mani, meno capaci forse, ma altrettanto amorose hanno composto un tripudio di azzurro per festeggiare un altro bimbo, anche lui dal nome lunghissimo.
Niente di sobrio, non era l'intento, servivano a fare trovare il portone alla felicità.
Insieme ai fiocchi di sono due tutine.
Minuscole.
Le sole taglia 0 che abbia mai comprato.
Le sole che abbia conservato.
Non hanno odore, non possono averne, eppure, se tuffo il naso nella stoffa (e lo tuffo), sento profumo di neonato, rivivo, dei parti, i soli minuti che contano, ripenso a quei giorni in cui ne avevo uno sempre addosso, la dolcezza, il piacere di allattarli con quegli occhioni a volte spalacanti a volte socchiusi e le manine che si aprivano e chiudevano come le zampe dei gattini quando fanno le fusa, le primissime scoperte, la reciproca, lunga e insieme brevissima, fase di conoscenza, perchè per innamorarsi bisogna prima guardarsi negli occhi, i minuti passati a sentirli dormire
Il senso del miracolo.
Di là, si danno lezioni di lotta.

lunedì 26 ottobre 2015

La vita degli altri.

C'è una cosa che non ha smesso di frullarmi in testa in questi giorni di scatole e scatoloni, bruschinature selvagge e unghie rotte malamente.
E' una cosa minima che, probabilmente, dà più il senso di quanto sia strana e, diversamente sensibile io, che altro.
Il fatto è questo, mi è capitato di sentire moltissimi commenti negli ultimi tempi su notizie particolarmente intime e personali di alcuni personaggi pubblici.
Cose tipo l'infertilità (o le difficoltà) degli Zuckerberg , il ricovero di Scialpi, col marito lasciato fuori, la giornalista del tg 2 Capulli morta di cancro a 50 anni, l'anoressia della Jolie e via e via.
Ora, non è che delle sofferenze e delle ingiustizie subite da queste persone non mi importi nulla, per carità, però non mi importa abbastanza da rimuginarci troppo sopra, da commentarle o da provare altro che la generica pena che provo per il dolore altrui.
E mi chiedo ma tutti quelli che soffrono o si indignano per Zuckerberg, Scialpi, Jolie, Capulli, non ce l'hanno un conoscente, un dirimpettaio, un collega, un familiare o un amico che si è ammalato, che non riesce ad avere un figlio o abortisce nelle prime settimane, non conoscono nessuno che sia solo nel bisogno, testardo nell'affrontare la sofferenza, incazzato (a ragione) col sistema paese, nessuno che non aspetti altro che un orecchio ed una spalla a cui fare delle confidenze, a cui affidare un po' della propria pena, invece che scriverne sui social, magari dopo averla superata?
Non sarebbe meglio, molto meglio, ed anche più semplice, guardarsi intorno, chè 'ste cose capitano davvero a tutti, e usare la nostra empatia, dove serve, dove può?
Ma davvero l'uscita di queste notizie, in questo modo,  è utile?
Non lo capisco.

martedì 20 ottobre 2015

Nella media ...e una perla di saggezza

Tutto nella media.
Scrivo poco,  quasi nulla, perchè strofino e pulisco come se finalmente, a 45 anni, fossi diventata la figlia di mia madre.
Durerà ancora una quindicina di giorni, forse un mese, poi tornerò quella che sono sempre stata, una per cui il pulito non è una soddisfazione ma una precondizione necessaria: se non c'è fa schifo, ma ottenerlo significa partire da meno un milione ed arrivare a zero, nessun piacere, solo dovere, delegarlo è una vittoria.
Comunque, la casa inizia a prendere vita, il trasloco è imminente e persino Attila e Totila cominciano a gradire.
Non fregherà niente a nessuno, ma è bellissima.
La situazione nel ramo della famiglia allargata che non si smentisce mai è stazionaria: uno si lamenta perchè morirà di tutti gli stenti, murato in casa, lasciato solo con i suoi guai (e senza nemmeno il conforto di un whisky al Roxy bar) e l'altro, in silenzio, cerca di evitare di morire di tutti gli stenti, subissato dalle lamentele per i guai altrui (e senza nemmeno il conforto di un whisky al Roxy bar) .
E poi c'è chi mi dice: sei sarcastica.
Tesoro.
Sono gentilissima, ma non cieca, potrei guarnirla con un barile di zucchero e miele, ma i fatti non cambierebbero.
Unica nota positiva un Attila sorridente e sereno.
Ho chiesto (chè lo so, una si dovrebbe anche vergognare di chiedere il perchè della serenità a un figlio, ma tant'è)
Mi ha detto: "il maestro Massimiliano ci ha fatto meditare, poi ha fatto delle domande ed a me ha detto che se si è sereni si è più forti e più intelligenti. E io ho provato e lo sono mamma, sono più forte ed intelligente, per cui ho deciso di essere sereno"
Quindi, ecco, grazie maestro Massimiliano.
Però mi spiegate perchè, se lo dico io, è come se avesse ragliato un asino e se lo dice lui, allora, è una perla di saggezza?
Che sia il karategi?

venerdì 9 ottobre 2015

Vera. Senza paura

Mi piace essere vera (anche se non sono sicura di sapere cosa davvero possa volere dire e come si faccia).
Mi piace esprimere ciò che penso senza paura.
Naturalmente non parlo della paura di una conseguenza fisica, del timore che possa succedermi qualcosa di spiacevole, quello è un pensiero che non ho mai avuto: da piccina, se qualcuno/a cercava di darmele, le rendevo, dopo i 5 -6 anni l'eventualità non si è mai presentata e francamente faccio anche fatica ad immaginarmela.
Non parlo neanche della paura del confronto, più o meno acceso e rispettoso, non mi piace litigare, ma posso farlo, non mi piace che le cose trascendano e non lo faccio, se la persona con cui discuto non è in grado, posso abbandonare la questione per manifesta superiorità (mia).
Sul web capita spesso, putroppo.
La paura della quale parlo e che ho scoperto ieri sera è quella di svelarmi troppo, di mostrarmi ad un numero imprecisato di persone per questioni che esulano del tutto dal mio lavoro ma che comunque, in qualche modo possano pregiudicare, con l'opinone che chi ascolta può farsi di me, possibilità di contatti o sviluppi professionali.
La paura che servano tatticismi, astuzie, retropensieri (o la capacità di prevederne) che non voglio avere.

venerdì 2 ottobre 2015

Non sono tutte belle le mamme del mondo

Mi capita molto spesso di sentire frasi autoassolutorie che potrei riassumere con l'assunto: le mamme non sbagliano mai, agire in un modo o nell'altro cambia poco, se c'è l'amore di mamma, quello basta.
Ecco, volevo dire, che non è così.
E non mi riferisco a quelle che maltrattano, torturano, abusano, vendono, prostituiscono, ammazzano i figli.
Ai mostri della vulgata popolare, che non si sbaglia, ma neanche si sforza.
Mi riferisco a quelle che li amano, li accudiscono, li curano e così facendo gettano ottime basi per renderli insicuri, pieni di sensi di colpa, arroganti, maleducati, frustrati, aggressivi, passivo-aggressivi, egocentrici, narcisi, fragili, incapaci di accettare se stessi e/o il prossimo, depressi, devastati, inetti alla vita, sofferenti.
A quelle che li educano col bastone e la carota, tra regali e punizioni, senza dialogo, a quelle autoritarie, a quelle che pretendono per amarli che si conformino al loro ideale, a quelle che li vedono come lo specchio su cui riflettere la loro strabordante personalità o che ne fanno il masso su cui poggiare le loro enormi insicurezze, alle bigotte che negano la sessualità fin dalla più tenera infanzia: il corpo in quanto tale come fonte di vergogna, a quelle che picchiano ed a quelle che si vantano di non averli mai toccati, ma li cancellano, li ignorano, li rifiutano se non fanno i "bravi", a quelle che "se fai così, la mamma soffre", a quelle che li spingono all'inverosimile, per piacere alle quali devono eccellere, quelle che li vedono come lo strumento per arrivare dove, loro, con le loro capacità, non sono arrivate, a quelle per le quali devono essere perfetti, a quelle che non sono in grado, a quelle che non vogliono, a quelle che un  figlio è uno strumento di pressione in più, a quelle che l'hanno fatto e questo solo le rende competenti, a quelle che bastano loro e il babbo non conta.
A tutte questo, vorrei dire che no, l'amore di mamma non basta proprio per nulla.
Son cazzate

giovedì 1 ottobre 2015

Cose (frivole) che vorrei

In questi giorni la vita rotola a grande velocità, ci sono cose belle, cose brutte e cose quotidiane.
C'è una brutta, vecchia storia, che sono stata sul punto di raccontare più di una volta, ma ancora non so se è il caso.
C'è una discussione sull'eleganza che forse vale la pena approfondire da queste parti, per fare chiarezza.
Per ora però c'è l'elenco delle cose che vorrei e, per ovvie ragioni, non avrò.
Quindi, a eterno memento del sacrificio:
- un cappotto rosso, di quelli da bambina, colletto a camicia, a un petto o, meglio, doppiopetto stretto, al ginocchio, leggermente svasato, con martingala dietro e spacco;
- un cappotto di cammello (no, non color cammello di lana di cammello), taglio classico a omino fichino, lungo al ginocchio, color cammello o, visto che sogno, double face cammello profilato panna e panna profilato cammello (a quel punto senza bottoni, per forza)
- una borsa a mano bordeaux/borgogna/rubino o come cavolo lo vogliamo chiamare (bon veramente non una, quella, belt bag di Celine)
- un secchiello nero chè poi non si dica che non subisco influenze esterne
- un paio di stivali marroni molto semplici, ma con tacco, diciamo 7, grosso
- un paio di scarpe da tanguera, possibilmente colorate, assurde, ma senza plateau
 

venerdì 25 settembre 2015

Corri la vita







e se non ce la fai, almeno rotola.

Quest'anno le magliette sono stu-pen-de (a trovarle)

mercoledì 23 settembre 2015

Letterina alla bambina che ha baciato mio figlio

Cara Bambina Bionda che ieri hai baciato Attila ai giardinetti,
vorrei dirti due cose a futura memoria.
La prima, mi scuserai, è più spicciola, un consiglio pratico e niente più, la seconda è forse un po' più importante, ma è da grandi, quindi ti suonerà di certo la solita cosa da vecchia babbiona, abbi pazienza secondo me ti tornerà utile, quindi mettila lì in un angolo e magari torna a prenderla tra un po'.
Cominciamo.
Sappi che non è una bella cosa baciare uno mentre sei "fidanzata" con un altro ma, detto questo e senza falsi moralismi, sappi che siamo tutti consapevoli che può capitare.
Ecco, per il futuro, se capita, quando capita, procura che il tuo fidanzato non sia anche lui ai giardinetti mentre lo fai, anzi, procura che il tuo fidanzato e quello con cui vuoi pomiciare non si conoscano, non si frequentino e si stiano pure un po' antipatici o almeno, accertati che l'altro sappia che hai una "relazione" con un suo amico e non faccia gaffe, perchè vedi anche i maschi parlano, non come le femmine questo no, ma parlano.
Siccome parlano, puoi starne certa, certamente il pomiciato dirà al fidanzato della pomiciata e tu finirai immancabilmente appellata come una antica, famosa, città dell'Asia Minore, teatro di una lunghissima guerra, cantata stupendamente da un vecchio poeta cieco.
Inizia per T.
E ci rimarrai molto male.
E finirai per dire che i maschi sono delle deiezioni lasciate ai margini delle strade da cani randagi o ragionano con organi non preposti allo scopo.
E sarete tutti punto a capo, presi da vecchi stereotipi.
La seconda cosa che volevo dirti è che non è colpa tua.
Può darsi che tu sia una scafatissima baciatrice seriale di quelle che baciano tutti chè così in mezzo a tanti due di picche, trovano anche uno che ci sta, ma nel caso in cui non sia così, ricordati che non è colpa tua.
Attila quel bacio non se lo aspettava, infatti lo hai preso sul mento, Attila non contemplava nemmeno l'ipotesi che qualcuno potesse baciarlo, a dirla tutta ad Attila l'idea dei baci fa abbastanza schifo al momento.
E' maschio, la sua testolina è piena di computer, karate, robot e amici, vanno bene anche femmine, ma è una sola la categoria contemplata per i rapporti col prossimo di pari età.
Quindi come vedi, non è colpa tua.
A guardare bene ed a dirla tutta non è nemmeno colpa sua.
Non lo è ora che non è pronto, ma non lo sarà nemmeno tra qualche anno.
Non è colpa di nessuno se non piacciamo abbastanza, non significa che non siamo abbastanza, vuole solo dire che non è il momento, la persona, la situazione giusta.
Fa male certo, a te ora, a tutti quando tocca, ma è un fatto.
Sappi che nella vita piacciamo tutti, davvero per quello che siamo, a pochissime persone.
Inutile  fingere che non sia così e deleterio cercare di "aggiustarsi" per piacere ad uno che pensiamo ci piaccia.
So che, impietrito, ti ha detto "siamo amici!"
Ecco, prendilo come un complimento, una cortesia, il minimo sindacale della sensibilità.
E cercatene un terzo, dai retta a me

giovedì 17 settembre 2015

bidet

Avevo pensato di scrivere due righe anche sulla mia passione, più recente e meno istintiva, per la montagna, ma ora ho quest'urgenza: il bidet.
In casa tutti i bagni avevano il bidet.
A lavori finiti (presto!) ce ne saranno due nuovi, ma uno è soltanto un punto di appoggio per i pigri che non vogliono/possono/riescono/fanno in tempo a salire le scale quando sono in salotto.Un sottoscala niente di più, niente di meno.
L'architetto ed io avevamo deciso che avremmo fatto installare lavabo e vaso, il minimo indispensabile, così da poter magari trovare un mobile carino o una forma di arredo che rendesse quello spazio minuscolo comunque piacevole.
Incivili, siamo due incivili.
Marito, muratore ed idraulico hanno concordemente sentenziato che non esiste fare un bagno senza bidet, mai, e soprattutto se, stringendosi un po', il bidet ci sta.
Mentre accettavo la sconfitta, mi è venuta in mente la nuova categorizzazione del prossimo inventata dalla cugina del mio cuore: divide, mi ha detto, le persone che potrebbero essere da frequentare da quelle da evitare in base all'approccio che hanno col bidet, se lo ritengono inutile e ci tengono le piante dentro, quasi sicuramente vanno cassate.
Quindi, è ufficiale, in tutta Europa (almeno quella mediterranea) per noi il bidet è il nuovo trono.

mercoledì 9 settembre 2015

Mare e

Il mare è una parte imprescindibile della mia vita.
C'è sempre stato e penso che ci sarà sempre.
Ho fatto il primo bagno a sei mesi esatti, un giorno di fine giugno di molti anni fa e non ho più smesso.
Come tutte le cose che ci appartengono e parlano ad una parte molto profonda di noi, per me non tutto il mare è mare.
Se ci sono file e file di ombrelloni schierati a testuggine come antiche truppe, spiagge rileccate, acque basse per chilometri in cui non c'è modo di tuffarsi e nuotare senza sentirsi un tricheco arenato sulla spiaggia, non è mare.
Se c'è una vita sociale, un gruppo di persone cui appartieni, volente e nolente, anche se le ignori, non perchè te le sei scelte, ma perchè condividi più o meno stabilmente, sebbene per un lasso di tempo limitato, quella spiaggia, quella baia, quel lido, non è mare.

Il mare per essere mare deve essere una distesa di acqua bella in cui entrare, uscire, rientrare, stare, un numero imprecisato di volte, una spiaggia di sabbia non finissima, ma un po' granulosa o anche una distesa di scogli, di ciottoli su cui trovare, faticosamente, la posizione giusta.
Mare è un costume comodo e carino che si asciughi rapidamente e si accontenti di una sciacquata poi, la sera, al ritorno, un telo, un libro e un cappello possibilmente da megalomane, a falda larga, tipo diva da commedia americana anni '50.
Basta
Se è un mare vicino, gli serve la pineta dietro, a fare da cuscinetto, o della macchia mediterranea tra cui scendere, e poi risalire, con lo stretto necessario.
Adoro le calette
Se è lontano ciò che gli serve lo sa da solo, ma un po' di verde non guasta mai.
E' però comunque fondamentale che non sia accomodato, addomesticato, per dare l'impressione di una dimensione naturale secondo il concetto di naturale che va di moda al momento.
Carino, delizioso,
Ecco carino e delizioso, non sono mare.
Non è necessario che sia un mare caldo, mi vanto (scema) di avere fatto il bagno nel mare del nord più di una volta, con gli autoctoni straniti che mi guardavano perplessi e le gambe arrossate e intorpidite per le basse temperature.
Non è necessario neppure che sia un mare "di stagione": va bene da fine aprile a fine ottobre: Io due piedi ce li metto anche a febbraio, per essere chiara, un po' d'acqua fredda non ha mai ammazzato nessuno.
Sono una donna selvatica.
E potrei avere avuto le branchie

lunedì 7 settembre 2015

settembre 2015 - settembre 2016

Settembre 2015: la princi in rosa comincia la prima elementare (primaria di primo grado o come si chiama in Spagna).
Novembre 2015: mia mamma compie 70 anni.
Dicembre 2015: io ne compio 45.
Marzo 2016: Attila ne fa 10
Maggio 2016: la cugina del mio cuore, 40
Luglio 2016: mio suocero arriva ad 80
Agosto 2016: i miei genitori festeggiano 50 anni di matrimonio
Settembre 2016: Totila va a scuola.
E poi ci sono le feste comandate e le ricorrenze spicciole.
In questi giorni in cui persone anziane e malferme si avventurano da sole in cantiere, cadono e tu, che arrivi per caso, ti trovi davanti maschere di sangue, mentre combatti con paranoie, paure, depressioni e soprattutto, egocentrismi impossibili da contenere seppure in un paio di galassie a scelta, tra sconosciute e conosciute, nonchè con gli effetti che producono, ecco, si diceva, in questi giorni, questo elenco di cose belle ci voleva.
E infatti c'è.

martedì 1 settembre 2015

tutto bene. Quasi

Sono tornata.
Tutto bene.
Oddio, tutto tutto no, anzi, siamo reduci da una grande paura, un colpettino di avvertimento ricevuto da chi sembrava una roccia.
Temo ci sia da pensare ad una riorganizzazione della famiglia allargata e siccome, carattere ed atteggiamenti di un membro di quel ramo (del lago di Como), non potrebbero definirsi facili nemmeno sotto allucinogeni, pavento problemi.
Per l'esattezza pavento problemi del tipo che odio, quelli che non hanno niente a che fare col problema vero, ma essendo, per così dire autoprodotti, ne producono a bizzeffe.
Sono casi come questi quelli in cui potrei sgozzare senza un plissè chi ti rinfaccia "l'aiuto" e la "vicinanza" delle famiglie di origine.
Non importa, per me vale sempre il simul stabunt, simul cadent, costi quel che costi.

venerdì 7 agosto 2015

Di ragazzi, casa e cosa puoi togliere e cosa non si può

Interno sera, cena di famiglia, menu da ritrono del figliol prodigo, bambini eccitati e finestre spalancate.
La conversazione è di quelle confuse, senza costrutto, affastella parole in libertà e salta di palo in frasca, tanto quello che si dice non conta, in fondo, mille discorsi servono solo per ribadire all'infinito: "sono contento che tu sia/di essere qui, ti voglio bene.
Lo stesso senso hanno le domande sulla vita altrove, una vita della quale, nelle sue banalità quotidiane, non importa troppo a nessuno, eppure, ogni volta si ripetono, ad esprimere ciò che conta: il passaggio sotterraneo di attenzione, data e ricevuta, di vicinanza ed affetto, che ne è la base ed il fondamento.
Nell'accozzaglia di minutaglie ed aneddoti che ne viene fuori, mentre ci diciamo della nuova, sperata, tranvia e dei 50 noiosi minuti di auto nonostante le quattro corsie per senso di marcia, il discorso non può che cadere su "cosa ti mangi".
Dall'offerta alimentare in generale all'annoso e imprescindibile problema dell'olio, qua, il passo è breve, un velo sottilissimo.
Lui, sorride e con tenerezza afferma di non avere problemi: "al momento, consumiamo ancora la stagna del tuo, babbo, quella che ho spedito col container a novembre. Per quando finirà ti faccio sapere, mi sto informando se si può spedire."
Ecco, io volevo dire, puoi togliere un ragazzo da casa, ma non puoi togliere casa da un ragazzo.
Non che sia sempre un bene.

venerdì 24 luglio 2015

Anche no

L'architetto ci ha proposto una variante che consentirebbe di ottenere dello spazio in più.
Decideremo in settimana.
Abbiamo però già da tempo stabilito che non toccheremo la nostra camera perchè, al momento, ciò che possiamo legittimamente realizzare non regge all'esame costi - benefici.
Mi pesa, perchè uno dei miei sogni era la stanza separata per gli armadi (la cabina è un no assoluto per me, bisogna essere ossessivi perchè resti decente e non elimina comunque la nota ed orrida fatica del cambio di stagione).
Comunque, mentre discutevamo sul da farsi, lui lì se ne è uscito con una cosa del tipo: "va be' dai, l'incremento consentito dal R(egolamento) U(rbanistico) C(omunale) possiamo sempre farlo in un secondo momento se cambia qualcosa!"
Dal profondo del mio cuore, senza che potessi trovare una formulazione educata, è uscito un roboante "Anche no!
Là fuori c'è un mondo da vedere.
E tra studio, lavoro, figlioli piccini, casa e cazzate varie, fino a qui, ne ho visto troppo poco.
Mi'mporta sega della stanza per gli armadi!"
Inutile, io non ho mai smesso di cercarla e non lo farò, ma a questo punto mi pare chiaro che una signora, dentro di me, non c'è.

lunedì 20 luglio 2015

Disgusti

1.
Sono a pranzo con un'amica.
Lei, io, due insalate estive di quelle con frutta, verdura, crostacei, pecorino fresco e pure due petali chè, come si dice, nel più, ci sta il meno.
Il locale è nuovo, carino, pieno, le pietanze buone, servite in giusta quantità ed accomodatissime.
Accanto a noi siedono quattro persone, adulte, forse colleghi in pausa scesi da qualche ufficio o studio professionale.
Ad una di queste viene servita una specie di torretta/lasagnetta di pasta fresca farcita di melanzane e zucchine grigliate, pomodori crudi, formaggio (sembra burrata lavorata) e non so che altro. Se è buona non so, ma è bella da vedere.
La tipa non fa un verso, impugna coltello e forchetta, divarica acconciamente le braccia in modo che i gomiti le fungano da alette e comincia a distruggere meticolosamente la sua pietanza. Si ferma (immagino sfinita) solo quando nel piatto c'è un ammasso di roba indistinta, il contenuto di uno stomaco a metà digestione, a occhio, più o meno.
Dopo il bolo e i primi enzimi, comunque.
Poi comincia a mangiare.
Che schifo
2.
ho un messaggio whatsapp sul gruppo della scuola. E' strano di questi tempi, apro, leggo e scopro che una mamma (quella contro i vaccini, i test per la dislessia e gli INVALSI) ci invita tutti a tempestare il ministero dell'istruzione perchè blocchi la "buona scuola".  La ragione è che, a suo dire, il testo (che è già legge, chissà se lo sa) introdurrebbe una obbligatoria quanto fantomatica "educazione gender".  Ora, tocca dire di no.
Putroppo, dal mio punto di vista
E già questo potrebbe giustificare un certo fastidio per la tipa.
Epperò.
La norma tanto vituperata introduce l'obbligo di svolgere nell'ambito scolastico attività volte a favorire la cultura della parità tra i sessi ed a prevenire la violenza di genere.
Ne consegue che, come minimo, bisogna avere bevuto tanto, ma tanto per farci rientrare l'invito ai bimbi a chissà quale "abominevole ed innaturale" pratica di vita o per indurre nelle loro testoline chissà quale "erronea deriva culturale".
Certo, in effetti, il mio giudizio parte da un assioma non dimostrato chè si può sempre ritenere che l'"abominevole ed innaturale" pratica di vita o l'"erronea deriva culturale" stiano nella malsana idea che le persone non debbano essere discriminate in base al sesso o non debbano essere incentivate a menarsi allegramente purchè rigorosamente " a sessi alterni" per cui due uomini no, ma un uomo e una donna si, chè è la natura che ce lo chiede.
Però ecco, anche in quel caso, di omosessuali, transessuali, varie ed eventuali non c'è traccia 
E comunque, insomma, volevo dire che anche la malafede e l'ignoranza (intesa come incapacità di  leggere e comprendere un testo) dovrebbero avere un limite.
Naturale se non altro
Ma su quella teoria del tipo col barbone, di quel Darwin lì, siamo sicuri sicuri?
Perchè secondo me il creazionismo certe cose le spiega meglio
Che schifo

mercoledì 15 luglio 2015

Varie

1. E' arrivata la sentenza dell'udienza di qualche giorno fa.
Non dovrò issarmi da sola sul pennone dell'undicesimo piano per servire da monito al foro.
Certo, mo', c'è da eseguirla ed ho la vaga impressione che non sarà una banalità.
Posso sbagliarmi, ma ho il presentimento che non pagheranno "spontaneamente" alla notifica della decisione, e questo ci porterebbe direttamente ad un altro ricorso alle norme comunitarie chè la societàona ha sede a Bruxelles.
Ho già il mal di pancia perchè non mi pare più, di questi tempi, che il sogno europeo proceda verso magnifiche sorti e progressive.
E no, la Grecia è solo il casus belli (e i greci ci si sono impegnati parecchio).
2. Il processo partecipativo sulla scuola è arrivato a termine. Sono state recepite anche alcune delle ultime richieste sulla palestra (utilizzabile anche per attività extrascolastiche in aggiunta al palazzetto che già c'è) e sull'aula polivalente (idem. Però secondo me è piccola), mentre non c'è stato nulla da fare per i campi di basket/pallavolo, pista skate e non so più che cosa, nel parco dove devono sorgere gli edifici: il comune dice che è una area naturale e non è il caso e che, comunque, i soldi sono quelli e ciao. Si vedrà in un secondo momento, per ora dobbiamo farci bastare la convenzione con le associazioni sportive che consente l'uso delle loro strutture all'aperto a chiunque gratuitamente in certi orari pomeridiani (unphf).
La scuola dell'infanzia dovrà essere consegnata per settembre 2016. Vedremo.
3. Dopo tanti anni sto guardando un po' di televisione, poca roba, quello che riesco e che esce dal bilanciamento tra due ovvietà: la tv generalista è inguardabile, questo c'è all'agriturismo familiare.
E insomma, ho una domanda: perchè ogni tre per due c'è una pubblicità con una coppia di omosessuali che invita all'acquisto di questo o quello, ma sono tutti, sempre, solo, maschi? Ce la possiamo fare, chessò, a far proporre due biscotti ad una lei amorevole e zuccerosa mentre un'altra lei altrettanto amorevole e zuccherosa prepara il caffè?
Tranquilli eh, però, anche se non ce la facciamo fa lo stesso, chè tanto io le odio comunque queste mode paracule del marketing figo. E pazienza se rischio che mi prendano per Giovanardi.

venerdì 10 luglio 2015

Macerie

Attila, prima di partire per il mare, ha guardato sconsolato casa ed ha sussurrato: "E' un cumulo di macerie. Era bellissima, mamma, perchè lo avete fatto?", si è voltato, è tornato alla macchina e non è più voluto scendere.
Io, impolverata e sudata, io felice, io convinta della bontà della scelta anche per loro e la loro autonomia, mi sono sentita una grossa cacca di mucca, di quelle che si trovano sui sentieri in montagna, piene di mosche e delle pietruzze tirate dai ragazzini per vedere se affondano ed in quanto tempo.
In un attimo, ho ripensato a quanto è importante la stabilità a quell'età, a quanto le avventure che ci si scelgono da piccoli e ci fanno sentire forti e coraggiosi, quelle che ci allenano per il futuro, ci aiutino a costruirci un bell'equilibrio se attorno, c'è un posto sicuro.
E certo il posto non è fisico, non solo.
Ma togliere per mesi un bambino dalla sua casa, dicendogli che quando tornerà la troverà stravolta, irriconoscibile, forse era cosa da ponderare diversamente.
L'entusiasmo, l'allegria, l'eccitazione, persino, dei grandi, non si sono trasmesse ai piccoli.
Sono certa che, quando potranno prendere possesso dei loro spazi ne saranno lieti, che dopo qualche mese, sembrerà loro normale, che si divertiranno nella stanza dei segreti ricavata nel sottotetto, col suo abbaino e la scala da pompiere, che prima o poi decideranno di non dormire più insieme, ma ognuno nella sua camera, che faranno i compiti sotto la loggia e si accapiglieranno, rincorreranno la gatta, mi faranno uscire pazza di rabbia e di affetto e che tutto tornerà ad essere banale, quotidiano, uguale al giorno prima.
Un posto, ovvio, scontato, magari piacevole, ma "normale" come è una casa finchè è casa.
Ma per ora, siamo al cumulo di macerie

venerdì 3 luglio 2015

Chiaroscuri

Si vede che in questo periodo la schizzofrenia mi si addice o per essere più precisi, si vede che in questo periodo sono portata verso una qualche forma dissociativa.
Il fatto è che Attila frequenta un corso estivo nei laboratori della Specola (si, sempre roba di robotica, ovvio) ragione per cui, per portarlo e riprenderlo io attraverso ogni giorno, due volte al giorno, tutto il centro, da Porta Romana a Piazza della Libertà, due rive dell'Arno e molto di ciò che rende Firenze Firenze.
Ora, io Firenze la amo, la amo perchè è mia in ogni sasso, in ogni tegola, in ogni raggio di luce nitido e preciso ed in ogni zaffata di tramontano, in ogni odore di cucina e strillo lontano, quando l'Arno è un nastro d'argento e quando puzza da dare il vomito, quando ballo, con la bici, sui selciati di pietra serena bocciardata e quando scivolo sui marmi consunti, quando è piena di gente (che un po' rompe le scatole) e quando è vuota e silenziosa, quando attraverso piazze monumetali e quando sbuco nella piazzetta del Limbo.
La amo perchè sono sua, in ogni battutaccia, in ogni volgarità, tutte le volte che preferisco (rischiare di ) perdere un amico che mordermi la lingua e tutte le volte che "ci arrivo" provando e riprovando, quando mescolo pezzi di Storia a tante storie, quando mi arrabbio perchè gli è tutto sbagliato gli è tutto da rifare, ma lasciare perdere non si può, quando piglio il caffè al "barrettino" in Piazza della Signoria e guardo con condiscendenza i giapponesi che divorano il panino col lampredotto alle 10 del mattino, quando mi accorgo che discutere mi fa sentire viva quanto fare l'amore e quando so di essere cinica, sarcastica, pungente e magari un filino scostante chè se ti fermi alla superficie un po' è un problema tuo.
Firenze è casa. Prima.
Poi, è tutto il resto.   
Non siamo tutti uguali, c'è chi anela spazi aperti, mondi nuovi, inesplorati.
Io non saprei che farci di un posto senza storia.
E così, ora che me la giro tutte le mattine prima che si vada in scena, mentre la spazzatrice finisce di ripulire piazza Duomo e piazza Pitti, le apine passano a ritirare i cartoni per gli imballaggi appoggiati fuori dai negozi ed i camioncini fanno le consegne, la guardo, oso e non oso.
Si perchè Firenze riesce a fare schifo, ci riesce benissimo.
Riesce ad essere sporca (non come Roma, no, quello è impossibile), sciatta, disordinata. Riesce a sopportare cose insopportabili: venditori abusivi ovunque, questuanti, artisti di strada che di artistico hanno solo il nome, turisti sciattoni e maleducati, incivili, vandali.
Da una settimana hanno ripristinato la chiusura notturna della loggia dei Lanzi e, di giorno, gli ingressi sono contingentati e controllati.
Me ne dispiace, perchè era bellissimo, umanamente ed emotivamente bellissimo, sapere che sempre, in ogni momento, chiunque ne avesse la voglia e la curiosità, poteva girare attorno al Perseo per controllare se davvero dietro all'elmo c'è la faccia del Cellini, o passeggiare attorno al Ratto delle Sabine per apprezzare il movimento ascendente, o anche solo vagabondare tra quei complessi beandosi della propria capacità di vedere il bello senza che importi altro.    
Ma la fiducia nell'umanità è malriposta.
Più che altro c'erano bivacchi di panini, gente pronta a farsi un selfie a cavallo dei marzocchi o arrampicata sui piedistalli. E si, se qualcuno se lo chiede ci sono dei custodi, pure attenti, ogni giorno, tutto il giorno. Sono disarmati però. Sarà quello.
La settimana scorsa un canadese ha pisciato in cima alla cupola del Duomo e quando lo hanno fermato e multato si è lamentato ché il buon Brunelleschi non ci aveva nemmeno fatto i bagni lassù in terrazza, poteva pensarci no? E' solo uno, sia chiaro: abbiamo bimbi tedeschi coi pastelli a cera sui marmi, medici statunitensi che staccano dita alle statue dandogli il cinque (glielo darei anch'io, in faccia), australiani attoniti chè, no, ecco, non ci si può tuffare nella fontana del Nettuno in piazza della signoria, nemmeno se sono le tre e si è bevuto il bevibile, giapponesi che brandiscono l'uniposca e turchi lo smalto per unghie, ragazze del nord europa in reggiseno spalmate su ogni aiuola e geni internazionali che scavalcano le spallette dell'Arno. Poi ci sono i ragazzi americani dei semestri all'estero, e quelli sono un mondo a parte, basti pensare che comune, Prefettura e consolato hanno dovuto fare un accordo ad hoc. Per rendere l'idea diciamo solo che un gruppetto, tempo fa, ha incastrato una compagna nella ruota degli esposti del Museo degli Innocenti, appena restaurata, ha poi chiesto aiuto perchè non c'era verso di farla uscire ed infine ha malmenato i due guardiani rei di voler chiamare i carabinieri.
Ecco.
Tutte le volte che mi dicono che questo o quello sono popoli "più" civili, sinceramente penso che abbiano solo un sistema repressivo più efficace.
Non che sia poco, sia chiaro.
E' per questo che rivoglio il capo di piazza, la riapertura del Bargello e tutti i disgraziati almeno per un mese alle Burella chè di un Prefetto che dice di non avere gli strumenti non so che farmene.
Soprattuto se poi, miracolo, escono certe foto sui giornali ed il giorno dopo spuntano divise dappertutto.
Però poi penso all'ultima mostra al forte belvedere, ai corsi per ragazzi ed alle loro sedi, ai locali e localini che stanno aprendo, a queste benedette due linee della tramvia che cambieranno di molto la qualità della mia vita, al teatro dell'Opera che, incredibile, darà opere e concerti per tutto luglio ed anche ai muratori in divisa che ieri, scoprendosi osservati da un gruppo di turisti, hanno sornionamente spiegato che se rifai un tetto in centro non puoi vestirti male, e vedo una città che si muove, che ci prova che si è un po' rotta le scatole e, come sempre, fa da sé e...insomma sono in bilico tra la rabbia e l'orgoglio.
E con quell'Oriana lì ci avrei litigato volentieri
PS
Ma che cosa carina che ho trovato!
Fosse vera, sarebbe un sogno
http://lapiazzadeldirettore.corrierefiorentino.corriere.it/2015/07/01/il-sindaco-in-armi-il-degrado-e-la-caccia-agli-sponsor/?refresh_ce-cp

venerdì 26 giugno 2015

Di brindisi notturni con le amiche, udienze e possibili correlazioni

Ieri sera ho lasciato la famigliola davanti a Jurassic park e sono uscita per brindare con delle amiche alla fine della scuola.
Certo invece di metterci in tiro e "calare" in città, ci siamo sfilate, con il consueto sospiro di sollievo, gli abiti più o meno eleganti del giorno e abbiamo scalciato via i tacchi
Se a 15 anni ci saremmo probabilmente "montate" in vista di una simile occasione, ieri sandali bassi e vestitini di cotone andavano per la maggiore.
Del resto non ci eravamo date appuntamento in uno dei locali alla moda della città, ma sulla terrazza della locale casa del popolo e pazienza se a fare servizio c'era tutta gente conosciuta....quando si è belle, si è belle, quando non lo si è, la penombra aiuta, il buio risolve.
Non è stata una serata epocale, è stata una serata divertente, piena di chiacchiere e risate, di sciocchezze e cose serie, di buona scuola e professori starnazzanti, di scuola rubata ed insegnanti vessati, di corsi di yoga canterini e ricette, di idee per settembre-che-però-per-fortuna-è-lontano e programmi per le vacanze, di bonarie prese in giro e qualche pettegolezzo.
Insomma il solito: chiacchiere tra donne, all'aperto, di notte, quando il caldo si stempera e il tempo si dilata.
Questa mattina però io avevo un udienza di quelle che aspetti da una vita, ma che quando arrivano è sempre troppo presto.
Un'udienza in corte d'appello su un rinvio indietro della Cassazione, sulla materia del mio cuore, con una controparte che negli altri gradi, essendo una societàona, schierava lo studione milanese da 80 nomi per sede, 15 sedi e altezzosità commisurata all'insieme.
Insomma sono entrata con le gambe molli, bella tesa, chè non si era costituito in giudizio nessuno e non c'era nessuno neanche per l'udienza, ragione per cui pensavo di avere sbagliato una notifica, un termine, di essere decaduta, avere mandato tutto all'aria e meritare l'esposizione al pubblico ludibrio da eseguirsi mediante reclusione in una gabbia di ferro da appendere al pennone dell'undicesimo piano finchè morte non sopraggiunga, ma solo dopo l'intervenuta condanna per responsabilità professionale con risarcimento del danno stabilito in misura ben oltre il massimale della mia polizza ed istantanea espropriazione della casa (ma porc...proprio ora?)
Mi siedo e il presidente prima mi dice di avere controllato bene ogni formalità perchè gli sembrava strano che nessuno si fosse costituito, però è tutto a posto. Poi mi chiede scusa.
Scusa?
Cioè davvero, scusa?
Mai sentito un giudice chiedere scusa, ma davvero, proprio mai.
Giusto se ti pesta un piede. Forse.
Pensavo non fosse possibile, e invece me lo ha pure ripetuto, certo ci ha tenuto a precisare che non era colpa sua (sia mai, ora, questo, sarebbe davvero stato pretendere troppo), ma in effetti, secondo lui la pronuncia resa dalla corte era davvero imbarazzante (!), dal momento che sarebbe bastato leggere il testo del regolamento Ce.
Alla fine ho persino rinunciato ai termini per memorie.
Così se mi ridanno torto mi tocca issarmici da sola sul pennone dell'undicesimo.
Quindi è deciso: da ora in avanti tutte le sere prima di un'udienza di cui ho paura, io berrò.
Da ubraica, mi sa, mi vengono meglio

mercoledì 17 giugno 2015

desideri schizzofrenici

Siamo da mia nonna da quasi un mese.
Nello slang familiare questa sistemazione ha acquisito un nome proprio: "l'agriturismo".
Il battesimo le attribuisce una duplice importanza: da un lato segna un'acquisita stabilità nella precarietà, visto che solo ciò che entra nella quotidianità merita un suo nome ed un suo ruolo. Dall'altro la scelta di questo nome, e non di un altro, dà la misura di quanto si stia rivelando piacevole vivere in quella vecchia e malandata casa. A noi, infatti, gli agriturismi piacciono molto e sono la formula che scegliamo più spesso per le nostre vacanze in montagna.
Certo qui nessuno offre colazioni pantagrueliche o consegna pane fresco dalle 7 del mattino, però la sera al ritorno trovo le primizie dell'orto nel paniere vicno all'ingresso, i fiori di zucca sul tavolo e i ravanelli a bagno nella ciotola sull'acquaio.
La connessione internet è pressochè inesistente (niente rete, un nuovo contratto ci sembrava inutile, contavamo sulla connessione di telefoni e tablet, ingenui), televisione solo in chiaro sul satellite (ho scoperto che fanno ancora i quiz pre tg!) film e cartoni da scegliere tra quelli che il babbo, previdente, ha stipato su un hard disk esterno prelevandoli dal nas di casa, in numero limitato quindi e comunque visibili solo dal computer piazzato strategicamente nel salottino al primo piano.
Insomma, un'aria di vacanza e di vita semplice.
E lo so che, noi, tutto sommato, questo abbiamo sempre, non viviamo in pieno centro o in qualche quartiere periferico ad alta densità abitativa. I caprioli che "allietano" le nostre notti scrocchiando (abbaiando?) ai pericoli sono gli stessi qua e là; ciononostante la sensazione è diversa.
Ed in me si risvegliano desideri che la mia parte logica e razionale pensava di avere superato.
Mi trovo col metro in mano a misurare vecchi muri ed a sognare nuove distribuzioni per vecchi spazi.
E' follia, lo so, sto ristrutturando casa, ho scelto definitivamente il nuovo parquet ieri, mi dibatto tra cotto (ancora?), listoni di legno industriale e monocotture di legno tarocco per il vecchio annesso, faccio bonifici di acconti a questo ed a quello, ho i consueti travasi di bile col comune e....e sogno, sogno e sogno ancora e più di sempre di rimettere a posto questa vecchia casa.
I vecchi progetti, disegnati su fogli di carta millesimata persi trent'anni fa, mi tornano alla mente come se li avessi buttati giù un'ora prima, ne vedo le ingenuità e le soluzioni intelligenti, aggiusto, limo, immagino.
Ho persino giocato al superenalotto.
E si, me ne vergogno.
  

giovedì 11 giugno 2015

Chi è senza peccato....dia il primo giudizio

Tra le molte cose che sopporto a malapena non ci sono i giudizi degli altri.
Quelli fanno bene, fanno male, fanno il solletico, fanno parte della vita.
Anzi, meglio conoscerli che avere a che fare con facce sempre sorridenti o, peggio ancora, sempre neutre, dietro alle quali un'opinione si dovrà pure celare. E se non si cela è peggio.
La cosa che mi pesa tanto e di fronte alla quale rischio seriamente di perdere tutta la mia compostezza è l'atteggiamento di chi si scaglia contro il giudizio altrui (sempre e solo maligno, malevolo, invidioso, livoroso e pretestuoso, chè sia mai uno faccia un'osservazione tanto per) usando esattamente lo stesso metodo.
Insomma quelle che si lamentano perchè ritengono che le loro scelte dovrebbero andare esenti da commenti, tanto meno superficiali, commentando in modo ancora più superficiale e malevolo.
La sagra dell'acidità.
E guai a farglielo notare. 
Tipo ieri all'ennesimo compleanno di classe: "no guarda io non sopporto quelle che ti chiedono come fai ad occuparti di tutto, da sola, in casa, come se fossi una pazza aspirante alla schiavitù (e fin qui, sei un po' acida magari, ma ci sta) e poi loro senza un aiuto prezzolato o la mamma non si sanno nemmeno cambare le mutande!
E quelle che lavorano tutto il giorno e ti dicono che sei fortunata tu a potere stare con i bambini, mentre magari sei col fiato corto dalla mattina, persa a correre dietro a quello e a quell'altro? e certo è bello per loro, che si levano di torno alle 8 e la sera trovano tutto fatto, ma i figli le chiamano tata o nonna o per nome!
ma la gente i fatti propri quando inizierà a farseli?"
Già, tipo, voi quando?

martedì 9 giugno 2015

Il sushi sull'aia

Mia cugina e tutta la sua allegra brigata sono stati con noi per dieci giorni
E così fanno 30 su un totale di 70 dalla fine di marzo ad ora: quando stavano a Roma comparivano meno spesso.
Non so se sia un bene per il loro equilibrio, ho l'impressione che la nostalgia pesi tanto in questo periodo e certo i tre cuginetti non prendono bene questi saluti che passano troppo presto dal "benvenuti" all'"arrivederci".
Per noi forse è diverso, abbiamo imparato a prendere ciò che c'è, ma non posso fare a meno di pensare che non deve essere sempre facile partire per le ambizioni e le soddisfazioni di un altro, quando si starebbe bene dove si è.
In ogni caso, chè questi non sono davvero fatti miei, nell'abituale girandola delle loro cene/aperitivi/merende/concerti/saluti e dei nostri impegni quotidiani, siamo riusciti ad incastrare la famosa lezione di sushi.
Il sushi sull'aia funziona così: al mattino chi può, apre la vecchia porta, ignora i giochi che la famiglia accampata (la mia) ha lasciato in giro la sera prima, si fa un caffè con una caffettiera altrui e poi inizia a lavare il riso, e lava e lava e lava, quando è soddisfatto del risultato, lo mette a cuocere con la giusta quantità di acqua, prepara il condimento con l'aceto di riso, il sale e lo zucchero ed il contenitore dove dovrà riposare.
Mentre il riso riposa e si insaporisce, si fa un giro nell'orto, raccatta due ravanelli e tre carote, poi torna alla casa del padre e si scofana un decina di fiori di zucca fritti, chè dove vive, dice, li buttano e non c'è verso di trovarne.
Nel pomeriggio si presenta alla festa dell'asilo e sopporta stoicamente, come tutti, balli e canzoncine, esibizioni di lavoretti e merende.
Infine torna all'aia, affida ai maschi adulti di casa il compito di preparare mojito per tutti, con o senza rum a seconda dell'età, invoca l'indole del vecchio generale e bagnandosi le mani inizia a spiegare.
La mia maestra è stata brava, io un'allieva appassionata, il generale ci ha voluto bene e, siamo certe, in mezzo a mille "sia fatta!" avrebbe assaggiato quelle strane rotelle di pesce crudo, frutti strani, cetrioli e alghe.
Di certo le avrebbe fatto piacere vedere i tavoli apparecchiati sull'aia, bagnati dalla luce fioca e giallastra della lampada, le tazze di vetro da tè usate come ciotola per la salsa di soia, le contorsioni con le bacchette, i bambini (finalmente) golosi, cibi esotici e bottiglie di vernaccia. Avrebbe riso all'esibizione di karate e a quella di danza, tutti rigorosamente a tre, e chissenefrega su c'è chi non frequenta corsi di  karate e chi neppure sa cosa siano le danze tradizionali basche.
E ci avrebbe sgridate perchè, in due, non siamo state capaci di mettere in tavola neppure un dolcino.
Fortunatamente, però, mio cugino sa in qual anfratto della cantina è riposta la grappa.
Il sushi sull'aia è bellissimo, ma la mattina dopo la sveglia non dovrebbe suonare.

giovedì 4 giugno 2015

Parenti serpenti. Ovvero incomprensioni di qua e di là dall'oceano. Aggiornamento

Mio cognata e mio cognato hanno deciso di sposarsi.
Faranno, credo, un matrimonio americano, perchè si amano molto e per una questione di stabilità nei visti, green card e scartoffie varie.
Tutto bello.
Sono molto felice.
E lo sarò ancora di più quando avrò la garanzia che nessuno si aspetta che mi vesta da damigella o da Elvis Presley (meglio da Elvis, tra le due).
Peccato che in tutto ciò ci sia l'inghippo.
Mia cognata è sposata.
O meglio, mia cognata si è ricordata che circa 30 anni fa, più o meno, si è sposata negli States con uno, poi sono tornati in Italia, non funzionavano e si sono separati: "è stato bello, però ora per favore riprenditi i tuoi coccini e torna a giocare sul tuo uscio, ciao".
Il tempo è passato, ognuno ha vissuto la sua vita serenamente, lei ha avuto un bellissimo figlio, lui chi sa che ha avuto.Divorzio?
Ma perchè?
E te lo spiego io perchè.
Perchè ora, dopo trent'anni già trovarlo questo non è stato facile.
Poi c'era da capire come divorziarli questi due.
E vi pare poco?
No, perchè quasi quasi lei si sarebbe risparmiata il viaggio, tanto....come è possibile che non si possa fare via mail?
Vabbe'
Dai picchia a mena abbiamo trovato la quadratura del cerchio: lei è a Roma per lavoro tutto giugno, lui vive a Roma, noi abbiamo una ex praticante a Roma: organizziamo un bell'appuntamento da lei, dietro a via di Torre Argentina (che non fa mai schifo), vi fate un aperitivo al Pantheon, mettete un paio di firme al volo, la mattina dopo la mitica colleghina porta il divorzio "in negoziazione assistita" in Campidoglio e in 20 giorni è tutto fatto. 
Già.
Peccato che lui prima fosse tanto disponibile, ma ora non voglia firmare, dice che invecchia ed è solo, l'idea di avere una moglie, per quanto separata, lo conforta e poi l'ha molto amata e, insomma, una speranzina ce l'ha ancora.
Mio cognato, anche lui solo negli States frigge.
E si sfoga: insomma, diciamocelo questo paese fa schifo, non riesce nemmeno a divorziare due consensualmente se uno non vuole!
Ah il cuore ed i suoi battiti!
(ma anche due neuroni a volte, non farebbero male, dico io)
AGGIORNAMENTO 17.6.15: la settimana scorsa il marito di mia cognata ha firmato, la collega ha chiesto il visto in Procura ed oggi ha depositato il tutto all'ufficio di Stato civile di Roma. Sono ufficialmente divorziati in attesa di annotazione.
Ora c'è da convincerla a rinunciare al nubiliato.
Auguri cognatuzzo chè io, per parte mia, volendole bene, gliel'ho detto: sono errori che, nella vita, una volta ci stanno, due no.



venerdì 29 maggio 2015

La paziente impaziente ovvero la mia rissa all'ospedale

Ieri sono andata a ritirare l'esito della mammografia.
La mammografia mi mette ansia.
Tanta.
L'inquietudine inizia a montare quando chiamo il c.u.p. per la prenotazione e scema solo dopo che ho letto il responso. La mia parte razionale sa benissimo che è un esame di routine, che non c'è alcuna ragione specifica, nessun rischio noto, sa anche come funziona il giochino per cui, se c'è qualcosa ti trattengono ed approfondiscono subito o, al massimo, il giorno dopo, se non lo fanno, puoi andare leggera e ritirare l'esito a tempo e comodo, tuo e del medico che deve scrivertelo.
Il fatto è che la mia parte razionale non vince sempre la partita, ci sono casi in cui l'altra la straccia proprio: game, set e incontro, 6-0, 6-0, 6-0. La mammografia è uno di quelli.
In genere, preferisco scegliere di farla a senologia, perchè su certe cose non ci tengo ad essere originale o, se preferite la vulgata locale, "perchè è bene farsi impiccare dal boia".
Solo che quest'anno i locali del reparto di senologia sono in ristrutturazione e quindi, le mamografie le fanno a Careggi, nella palazzina di ostetricia e ginecologia.
E' bellina eh, l'hanno ristrutturata di fresco, tutta vetri e acciaio come va di moda ora, una grande hall di ingresso e flussi separati per chi deve accedere ai reparti e chi, invece, può accomodarsi ad aspettare di essere chiamato per l'accettazione degli esami ambulatoriali e tutto il resto.
Bellina si.
Tu entri col tuo foglio di prenotazione in mano ed alla tua destra trovi le macchinette per pagare il ticket, sai già l'importo perchè è scritto sul foglio della prenotazione e mentre aspetti di fare l'accettazione che fai? Paghi, che vuoi fare?
E sbagli.
Sbagli perchè tu, che devi fare la mammografia a senologia, non fai l'accettazione come gli altri, no, tu devi andare a senologia e lì fare l'accettazione e pagare il ticket.
Ora, se non si fosse capito, senologia può anche nominalmente essere un ente a parte, ma è un istituto della ASL come ortopedia o pneumologia e i soldi del ticket vanno alla ASL, quindi....
Quindi io, quando sono arrivata dalle signorine dell'accettazione "a parte" e mi sono sentita dire che dovevo ripagare e poi, se volevo, fare istanza di riborso alla ASL ho detto "no grazie, voi fatemi fare l'esame, poi me la vedo io".
Hanno confabulato un po' e poi hanno fatto l'accettazione e io, poco dopo, l'esame.
Saluti e baci.
Ieri però, al ritiro, pretendevano di nuovo che pagassi ed anzi, consideravano il pagamento elemento essenziale  senza il quale non mi avrebbero consegnato il mio sospirato bustone.
Poichè non ho niente contro queste signorine e capisco benissimo che debbano attenersi alle istruzioni ricevute, pacatissima, ho detto loro che non potevano rifiutarsi di consegnarmi l'esito di un'attività diagnostica eseguita sulla mia persona, le fotografie delle mie poppe e tutto il resto: sono appena appena dati personali e sensibili, e noi in Italia, davanti alla privacy ed ai dati personali e sensibili ci inchiniamo tutti tutti, sempre sempre, pure quelli con l'ermellino, quindi loro avrebbero dovuto darmi il mio referto e poi potevano, se non lo avevano ancora fatto, segnalarmi all'ufficio amministrativo perchè desse corso alle attività che riteneva opportune per il recupero della mia "evasione".
L'hanno presa malissimo.
Mi hanno fatto notare che tutti ripagano (chissà perchè, ma ci credo) e nessuno si è mai permesso, anche se capita spesso che le persone sbaglino (anche qui, chissà perchè, ci credo), anzi ci sono signore anziane (sic!) che loro aiutano indirizzandole dove di dovere per i rimborsi.
Ho detto loro che "io no", mi dessero il mio esame e procedessero oltre.
Dopo una decina di minuti abbondanti di vede così-vede cosà, una, certa di avere l'argomento risolutivo, è saltata su e con aria di volermi insegnare l'abc mi ha detto che la mia pretesa era folle, che nessuno mi avrebbe mai dato alcunchè se non pagavo e del resto "signora, se va a comprare un paio di scarpe, non esce certo dal negozio prima di averle pagate!"
Ora, a parte che io ho pagato, a parte che, forse, c'è qualche piccola falla nel sistema informativo giacchè non è scritto in alcun luogo che le macchine per i ticket (identiche per altro) valgono ora si, ora no, a seconda di dove sono e dove devi andare tu, ma "un paio di scarpe?"
La mia mammografia un paio di scarpe?
L'ho presa malissimo anche io e gelidissima le ho sussurato che se non mi consegnava l'esame chiamavo i carabinieri.
La saletta era sgomenta, molte pazienti pensavano, evidentemente, che sono una pazza e mi è spiaciuto, ma quando mi parte la bambola, mi è partita, e torna solo dopo avere fatto tutto il giro.
Le impiegate hanno deliberato di chiamare il direttore nonchè primario il quale è comparso, si è informato, e mi ha detto: "non posso darglielo", gli ho risposto: "le assicuro che può", allora ha cominciato a rifarmi tutta la tiritera ed alla fine si è detto disponibile a comunicarmi il referto oralmente, senza consegnarmelo.
Carino.
Un po' pochino però
Quando mi arrabbio tanto, io sono gelida fuori, ma non dentro, in più fare piazzate in pubblico non è nel mio carattere e mi mette molto a disagio, ho quindi accettato di andare nel suo studio dove mi ha letto il responso e poi, su mia richiesta, ha chiamato il direttore sanitario.
La telefonata è stata fantastica: "ho qui ciacco che mi dice di avere pagato così e cosà, per me non va bene, devo darle ugualmente il plico o no? perchè io penso di no"
"si eh, ma così...si, insomma, se lo dici tu, però....va bene, si, grazie, ciao"
Sono uscita col mio bustone, ho salutato e via.
Contenta?
Nemmeno un po', perchè là fuori il messaggio non è passato, anzi, lo so per certo, sono stata vista come la solita prepotente che fa casino ed ottinene ciò che non le spetta.

Una fatica




mercoledì 27 maggio 2015

perchè sono e sarò sempre a favore dei compiti a casa

lo spiega bene lui qui
http://www.lastampa.it/2015/05/27/cultura/opinioni/secondo-me/in-classe-si-impara-un-metodo-a-casa-si-acquisiscono-le-conoscenze-qyfeCdjNtzKFk9R6mApLfM/pagina.html

E spiega abbastanza bene anche perchè sono tre anni che fracasso le maestre sull'importanza del metodo tutte le volte che mi capitano a tiro.

Se qualcuno si stesse chiedendo se Attila mi odia, la risposta è: si certo. Sono sua madre

venerdì 22 maggio 2015

Li ravioli e la cucina di casa.

Abbiamo fatto "li" ravioli.
I ravioli sono un classico della cucina di casa: la mia nonna materna cominciava a frantumare chiunque le capitasse a tiro non appena nascevano le prime foglioline e smetteva soltanto quando su ogni superficie sufficientemente piana della sua enorme cucina c'era un letto di canovacci e farina pronto ad accogliere la produzione. Allora, in genere. attaccava con la storia della pasta (mai abbastanza sottile), con la necessità di essere veloci (chè poi si rammollano e in cottura si rompono), e del sugo poco saporito. Infine, mentre preparava vassoi e vassoi di avanzi per tutti noi (e non per il cane), si lamentava che non era stato mangiato niente.
Ovviamente sorrideva dall'inizo alla fine, piombando su questo e su quello, correggendo, incoraggiando o semplicemente conducendo le sue accuratissime e amorevolissime indagini sui fatti più privati di tutti noi; raramente, chiacchierava.
Era una bellissima festa, cui partecipavano tutti dai più piccoli, per i quali c'erano farina e spianatoia ad hoc, ai più vecchi, dai maschi, ai quali toccava impastare e tirare la sfoglia, alle femmine, dai più svegli a quelli più pasticcioni  perchè comunque male, male " 'u chiù fissu gratta 'u tumazzu".
E poi, si mangiava.
Ci scherzavamo sopra l'altro ieri, a casa di mia mamma, mentre impastavamo 18 uova con un paio di chili scarsi di farina, tiravamo la sfoglia e farcivamo di ricotta e strigoli (altro che spinaci!).
La nostra famiglia è proprio "bastarda" ed è bellissimo, ecco.
Si fa tanto parlare di culture, differenze, distanze problemi, tutte cose vere, grandi, immense, dolorose e poi una sera ti trovi in cucina e fai ravioli.
Fai i ravioli per un imperativo morale, per un riflesso pavloviano indotto da una donna di un paesino delle Madonie che, per i primi cinquant'anni buoni della sua vita, non aveva mai contemplato l'esistenza della pasta ripiena.
Una che da "casa" si era portata roba tipo la parmigiana di melanzane e l'insalata di arance e finocchi, il croccante e gli amaretti di mandorle, la pasta con i "vruocculi arriminiati" o le sarde, la caponata e lo sfincione e non si era fatta alcun problema nel diffonderle presso tutti quelli che le capitavano a tiro nonostante le titubanze degli inizi.
Per parte sua, da contadini dei poderi vicini aveva imparato, quasi da subito, ribollita e panzanella, frittelle di riso e cenci per le feste, l'uso del coniglio, e persino fave crude e brodo.
Poi arrivò mio padre e sia sua madre che suo padre portarono altro.
Mio nonno adorava cucinare ed era bravissimo nella più tradizionale cucina toscana: stracotti, umidi, polpette di lesso, arista e roastbeef, legumi, erbe ripassate in padella, frattaglie (ah il cibreo del nonno!): la sagra del colesterolo.
Mia nonna meno, la cucina quotidiana la scocciava, ma quando decideva che le andava, allora si ricordava di essere romagnola ed erano tagliatelle al coltello, cappelletti, gnocchi e passatelli (asciutti o in brodo), tortelli e strozzapreti, zuppa inglese (e qui ci sta il minuto di raccoglimento)
Questi usi non rimasero confinati nelle rispettive cucine, ma si mescolarono e divennero gli uni patrimonio anche degli altri in un guazzabuglio forse senza capo nè coda, ma gustoso.
Presa la china, non c'era ragione di fermarsi:  da altri posti, per altre vie, attraverso affetti duraturi arrivò di tutto: la polenta da un amico veneto dei miei genitori, gli involtini in foglia di vite da una cugina acquisita, rumena, i jefke (il nome l'ho imparato decenni dopo) di mia zia e la cassata di sua mamma, tortellini, lasagne verdi, bollito dalla seconda moglie di mio nonno, bolognese di adozione. Lei, laSara, ha portato nella mia famiglia anche il gusto per il cous cous, per certi dolcetti di semolino e mandorle e, naturalmente, per il mitico té alla menta servito con arachidi tostate. Roba che aveva segnato la sua infanzia/adolescenza africana.
Poi ci sono stati (e ci sono) gli amici: calabresi e messicani, torinesi e sardi.
Mi piace molto questa cosa che, ognuno, porta qualcosa e tutti ci sentiamo liberi di pasticciarcela a piacere, mia cugina per esempio ci propina paella e baccalà come se non ci fosse un domani in onore della sua nuova casa e, visto che ha tempo, frequenta un sacco di corsi di cucina.
Tra dieci giorni torna e, dice, mi insegna a fare il sushi
Totila non sta nella pelle chè, in questo momento, il Giappone per lui è Shangri-La.
I ravioli glieli abbiamo congelati, ma non so se resisteremo alla tentazione.
Dieci giorni sono lunghi
  

lunedì 18 maggio 2015

E ti guardo (nuovo ma vecchio, sperando di non perderlo come tutto il resto del vecchio blog)



E ti guardo

Ti guardo e ti vedo più bello.
Il tempo è stato gentile, ma c’era da aspettarselo.
Io, per dire, lo sapevo che saresti stato meglio a 45 che a 25.
Sapevo anche che a 15 dovevi essere un disastro e lo sapevo prima di vedere quelle foto, quelle che, se non fosse per la tenerezza, andrebbero bruciate.
Lo sapevo perchè siamo fatti della stessa pasta e senza tutte le stronzate
sulle anime gemelle a cui non credo, a cui non credi e a cui quelli come noi
devono essere ubriachi forte per credere.
Non sto dicendo che sia un bene, sto dicendo che è così.
Noi non siamo quelli delle carrozze con i cavalli, bianchi poi, chè
diciamocelo quanti mai dovrebbero essere ‘sti cavalli tutti bianchi e del tipo
idoneo a trainare carrozze, per soddisfare la bisogna?
Troppi, decisamente, troppi.
Noi siamo quelli che si scelgono tutti i giorni, ma davvero e non per posa,
chè a volte me lo chiedo mille volte, in un giorno, se ne vale sempre la pena o se è mai valsa.
Siamo quelli che si guardano sempre: brutti da fare paura, come capita mentre partoriscono o dopo un esame disgustoso ed invasivo e si vedono brutti, chè brutti sono e dire il contrario sarebbe mentire.
Si guardano ed a volte si vedono belli, come sei stasera, per dire, con i
capelli brizzolati, ma abbastanza lunghi per arricciarsi, con la camicia bianca
aperta, la cravatta in tasca, le maniche arrotolate e la faccia tirata-da-
mestiere-di-merda-voglio-andare-dai-bambini-ma-prima-vieni-qui-e-chiudi-la-
porta.
Noi siamo quelli che si sono piaciuti e si piacciono “senza testa”, prima
della testa, ed è bene così, perchè in fondo io a quelli la cui pelle non
parlava alla mia non ho mai nemmeno dato una chance.
Siamo però anche quelli le cui teste si sono riconosciute subito e sì che su
tanti argomenti partivano da presupposti tanto lontani e su tanti rimaniamo
lontani, perchè io sono io e tu sei tu e il noi, al limite è la sintesi, o il
compromesso, se serve.
Ragionare no, comunque, abbiamo sempre ragionato nello stesso modo, anche se io non ho fatto il classico e tu non sai risolvere un’equazione, anche se tu sai essere iracondo ed io fredda, io accogliente e tu spietato, perfezionisti o cialtroni a giorni alterni, curiosi sempre e mai, volontariamente almeno, superficiali nella “raccolta dei dati”.
E’ un sacco di tempo che ci guardiamo lo sai?
Fammi un piacere, non distogliere lo sguardo, ancora per un po’ almeno