venerdì 7 agosto 2015

Di ragazzi, casa e cosa puoi togliere e cosa non si può

Interno sera, cena di famiglia, menu da ritrono del figliol prodigo, bambini eccitati e finestre spalancate.
La conversazione è di quelle confuse, senza costrutto, affastella parole in libertà e salta di palo in frasca, tanto quello che si dice non conta, in fondo, mille discorsi servono solo per ribadire all'infinito: "sono contento che tu sia/di essere qui, ti voglio bene.
Lo stesso senso hanno le domande sulla vita altrove, una vita della quale, nelle sue banalità quotidiane, non importa troppo a nessuno, eppure, ogni volta si ripetono, ad esprimere ciò che conta: il passaggio sotterraneo di attenzione, data e ricevuta, di vicinanza ed affetto, che ne è la base ed il fondamento.
Nell'accozzaglia di minutaglie ed aneddoti che ne viene fuori, mentre ci diciamo della nuova, sperata, tranvia e dei 50 noiosi minuti di auto nonostante le quattro corsie per senso di marcia, il discorso non può che cadere su "cosa ti mangi".
Dall'offerta alimentare in generale all'annoso e imprescindibile problema dell'olio, qua, il passo è breve, un velo sottilissimo.
Lui, sorride e con tenerezza afferma di non avere problemi: "al momento, consumiamo ancora la stagna del tuo, babbo, quella che ho spedito col container a novembre. Per quando finirà ti faccio sapere, mi sto informando se si può spedire."
Ecco, io volevo dire, puoi togliere un ragazzo da casa, ma non puoi togliere casa da un ragazzo.
Non che sia sempre un bene.