lunedì 11 dicembre 2017

Coder dojo Paesello

Ho scoperto il coder dojo anni fa leggendo un post su un blog di una mamma con tre figlie femmine e un bel cervello.
L'idea mi è piaciuta un sacco ed ancora di più mi è piaciuto che i rudimenti della programmazione (coding) si sperimentassero in un dojo tra ninja.
Un nome così se lo assegnano solo dei pazzi megalomani o persone che non si prendono sul serio.
La fondazione internazionale opera in un centinaio e passa di paesi (138 se non mi sbaglio) ed ha una quarantina di club in tutta Italia
Sono club presi d'assalto e, almeno a Firenze, trovare posto per una delle iniziative periodiche è estremamente difficile perchè le richieste sono molte ed i posti limitati
Non sono pochi i ragazzini cui piace l'idea di programmare il loro personalissimo giochino e poi, magari, creare un'app o una pagina html.
Soprattutto non sono pochi quelli cui piace confrontarsi col peer to peer, ragionando tra pari o con l'aiuto di persone poco più grandi, insomma utilizzando il famoso imparar facendo.
Sono belline quelle sale piene di tante testoline affacciate su altrettanti schermi.
Lo so che per qualcuno questa mia frase è poco meno di una bestemmia: tutti affranti dalla tecnologia, tutti convinti che i ragazzini debbano essere tenuti lontani dallo strumento il più a lungo possibile per crescere "sani e felici".
Io invece penso che prima imparano ad usarla, prima divengono consapevoli e soprattutto se e quando ne divengono utilizzatori attivi, capaci di guardarci dentro, di chiedersi e (magari) rispondersi perchè di certi fenomeni, meccanismi, processi, meglio è, per loro e per tutti.
Ho ancora l'idea romantica per cui sapere è potere.
E stare lontano da uno strumento indispensabile significa prepararsi a capire molto poco del mondo che ci circonda.
E lo dico con certezza, guido da quasi trent'anni e non saprei trovare un carburatore neppure ne andasse della mia vita.
In più, l'età, la crisi, le gravidanze, qualche turba ereditaria o originaria, mi hanno convinto che le lamentazioni sono noiosissime, le recriminazioni sterili e stare con le mani in mano è deleterio.
Mi avvicino, lentamente e facendo il massimo della resistenza, ai 50 ed ho deciso che è tempo di fare, di rendere dove ho avuto, di dare ciò che ho.
Quindi, il paesello ha il suo gruppo coder dojo fattoincasa.
Si riunisce alla casa del popolo (che è del popolo e quindi è il posto suo), perchè il presidente è un amico di infanzia del sant'uomo ed ha fatto l'errore di dire che è tutta cablata, con la fibra, il wi fi, il gir' a reggere e quello a levare.
Champion (responsabile) è il babbo di una mia amica, ingegnere ottantenne dal piglio energico e l'aria sorniona del nonno di tutti.
A dare una mano come mentor, ci sono un po' di babbi e mamme con competenze specifiche, due ventenni (nipoti di non so chi) che hanno una startup tecnologica e si sono presentati spontaneamente attratti dall'idea e, soprattutto, uno stuolo di ragazzi e ragazze di un istituto tecnico col loro professore di informatica; assolvono così ad una parte dei loro obblighi di alternanza scuola - lavoro (e si divertono).
Un amico di amici, che lavora nel settore, ha donato una quindicina di computer in via di dismissione.
E così, in ossequio al posto che ci ospita ed alle nostre idee, possiamo includere anche i ragazzi che non possiedono un portatile, chè il coder dojo fichetto per fichetti, ci stava un po' stretto.
Io porto la merenda e giro sorridendo e chiacchierando come Ambra a non-è-la-rai, mentre il sant'uomo, cui va tutto il merito della riuscita, mi detta le battute tramite auricolare.
Al primo incontro, di prova, c'erano 26 ragazzini, tutti avvertiti solo col passaparola e tutti, più o meno, figli di amici o amici di amici.
Sabato facciamo il secondo e poi da gennaio si va a regime con l'obbligo di prenotarsi 5 giorni prima on line e le magliette col logo per lo staff.
Sarò davvero felice quando avremo tante femmine quanti maschi.
Erano tante, ma non abbastanza