lunedì 30 giugno 2014

SSN una domanda

Venerdì ho accompagnato mio suocero dalla sua nuova dottoressa di base.
Veramente ho accompagnato i suoceri visto che lui si era fatto male all'orto ed aveva bisogno di sottoporsi ad una visita e lei di farsi prescrivere quella quindicina di medicine che le fanno da colazione, pranzo e cena.
Non ero mai stata in quell'ambulatorio e mi ha piacevolmente stupito l'ambiente: accogliente, bianco, stampe alle pareti - IKEA e derivati come se piovesse, troppa per me, ma carino - opuscoli sui tavolinetti e musica rilassante di sottofondo.
Unico elemento stonato l'aggeggio rosso per i numerini. Come alla coop.
Non mi ero mai chiesta come gestisse il suo rapporto con i pazienti questo medico, semplicemente perchè non è il mio e non avevo mai dovuto occuparmene, ma la cosa mi ha lasciato interdetta.
Ora, voglio essere sincera, i miei suoceri non se ne lamentano: sono pensionati e una sala di aspetto accogliente, evidentemente, è per loro un posto come un altro per fare due chiacchiere con i conoscenti che ci incontrano.
In più, la maggior parte degli utenti che ci precedeva era lì solo per far ripetere prescrizioni abituali per malattie croniche, il tempo di un grazie, prego, tornerò.
Epperò 
Il mio affezionatissimo medico di base mi segue da qualcosa come 25 - 26 anni, non è un giovincello, anzi è un nonno, sebbene sicuramente un nonno sprint. 
Il suo ambulatorio, in condivisione con altri tre dottori, non è bello, nè bianco, ed appesi alle pareti ci sono solo poster sulle campagne di vaccinazione o sugli screening offerti dalla regione; non ci troverete però neanche persone in attesa col numerino in mano.
Il fatto è che questi dottori (a 'sto punto devo dire eroici?) pagano una gentile signora che fissa e gestisce per loro gli appuntamenti, prende le chiamate con cui i pazienti affetti da una patologia cronica comunicano di avere finito i farmaci, ne informa il medico che, fatte sul computer le sue verifiche, fa la prescrizione, prescrizione che l'interessato potrà andare a ritirare a suo comodo in segreteria durante tutto l'orario di apertura dell'ambualtorio.
Mettono anche a disposizione dei loro assistiti, due volte la settimana, un'infermiera per le piccole medicazioni, le vaccinazioni e l'eventuale asportazione dei punti di sutura (vero amore di mammina?).
E non è finita, in osservanza alle linee guida regionali, fanno anche eco e doppler per una valutazione di base (appunto) onde escludere situazioni rischiose o al contempo, prescrivere esami costosi senza ragione.
Lo ammetto, saranno magari troppo bravi, ma sono ciò a cui sono abituata e tendo a considerare "normale".
Tanto normale che, quando il primo pediatra che avevo scelto per Attila ha deciso di tornare a lavorare solo in ospedale ed ho dovuto cambiare, ho girato entrambi quelli disponibili in zona e sono finita fuori comune da una che non dispone di una simile struttura ma offre lo stesso servizio: appuntamenti prefissati e ben distanziati ed eventuali ricette o certificati di routine, preventivamente concordati, a disposizione al banco di prima accoglienza della struttura (parliamo di pubbliche assistenze, niente di che, sia chiaro)
Ora, non posso non chiedermelo, se questo è possibile - ed evidentemente lo è - perchè uno deve continuare ad accettare un servizio invece sciatto e scadente, fastidioso se non sei un pensionato che deve fare l'ora di cena?
Quando impareremo anche noi ad applicare il fantasmagorico "I pay, I pretend" che mi fu scolpito in fronte sulle bianche scogliere di Dover da una che teneva conigli come animali domestici, non possedeva un ferro da stiro e pensava di fornire alle figlie un'alimentazione bilanciata perchè divideva tra loro tre l'effige di un pomodoro?
E soprattutto perchè un professionista deve lavorare in un modo così poco dignitoso e inadeguato a creare quel clima di serenità ed efficenza fondamentale perchè possa rendere al suo meglio?
Misteri

mercoledì 25 giugno 2014

Non organica

Il fatto che io abbia, tra l'altro, un problema con gli eroi non è un caso.
C'è una ragione.
Insomma, c'è almeno una ragione.
E la ragione è che non sono capace di essere organica pressochè a niente.
Con questo non intendo dire che non mi va bene nulla o che faccio solo quello che voglio.
Non sono una disadattata, un'asociale, una prepotente e nemmeno una (troppo) maleducata.
Mi adatto, comprendo, dispenso indulgenza, esprimo il dissenso con pacatezza e leggerezza e all'occorrenza, mi annoio senza dare nell'occhio.
Il mio non essere organica viene da lontano.
Da scelte vecchie decenni, mai rimpiante, ma portatrici, come tutto del resto, di effetti positivi ed effetti negativi.
Nessuna di queste scelte è una scelta epocale, uno spartiacque, tutte sono l'effetto di piccoli passi che mi hanno portato ad essere quello che sono, dove sono e ad esprimerlo in questo modo.
E' una condizione che mi piace, non la subisco: essere dentro e fuori, vicina e lontana, da certe mentalità, da certi rapporti, da certi "linguaggi" mi consente di sentirmi libera, superiore a niente, ma neanche strettamente vincolata a nessuna comunità ed a nessun rito, tifo, punto di vista necessariamente ortodosso.
Un po' la pago.
E quando capita, un po' mi pesa.
Oggi per esempio. 

venerdì 20 giugno 2014

Di topi e ascensori

Interno giorno, palazzo di giustizia.
Due splendide signore chiacchierano fitto fitto davanti alle porte di un ascensore.
Le porte si aprono, le due entrano, rivolgono un "buongiorno" rapidissimo al giovane in giacca e cravatta che, saggiamente, si è rintanato sul fondo dell'abitacolo e continuano la loro conversazione.
Maleducatissime.
Discorrono di cose più che fondamentali, imprescindibili, tipo il nuovo taglio di capelli del giudice Tizia (alla Valentina di Crepax senza la Valentina di Crepax), l'imminenza del matrimonio del secolo (ahem), pagelle (wow) e mariti (blee).
All'avvicinarsi dell'ottavo piano una, memore di tempi lontani, afferma di avere deciso che non può perdersi la mostra di Pollok per cui, se non si organizza diversamente, una delle prossime mattine approfitterà di un impegno al TAR per fare una mezza forca e infilare in Palazzo Vecchio.
Dal fondo si leva, timida, una voce:  "io ci sono stato"
"oh! (E chi se lo ricordava questo?) davvero? com'è?"
Lui "Non ci sono tante opere"
Loro: "si, ma... ne vale la pena?"
Lui "eh mah non saprei. Per me si. Io NON ero mai stato in Palazzo Vecchio per cui....ho passato la maggior parte del tempo a guardare le sale. Sono bellissime"
Si aprono le porte, sorride, dice "buongiorno" e scende.
Loro si guardano e una esala: "un topo, va bene? la prossima volta che dobbiamo andare all'undicesimo e nel frattempo ci diciamo i fatti nostri, io in fondo all'ascensore ci voglio un topo. Grosso".

mercoledì 18 giugno 2014

Clienti

E' venuta da me più di un anno fa.
Era piena di rabbia e di rancore, subiva una separazione che non voleva e non aveva neanche un'ombra di spirito conciliativo.
Mi raccontò che il marito aveva un'altra e faticai non poco a farle capire che il tradimento -di per sè- non è causa di addebito della separazione.
Non capiva, non voleva capire.
Soffriva e pretendeva un prezzo per il suo dolore.
Smaniava, come se vedere scritto, nero su bianco, che lui aveva tutta la colpa, potesse liberarla da chissà che peso, riconsegnarle un'immagine diversa di sè, l'immagine di quella che non aveva alcunchè da rimproverarsi.
Il fatto è che non è così, non è mai così.
E sarà banale, ma è vero, se una storia non funziona o non funziona più, non è mai uno solo il responsabile.
Fosse solo (e non è mai davvero così semplice) che ti sei sposata uno stronzo, be' quella è la tua responsabilità chè lui è stronzo e te?
Te come sei stata?
Scema, ecco, bene che vada, a non volere fare finta di niente, una che è stata scema se lo deve riconoscere.
Solo che lei non era il tipo, o forse, semplicemente, non era pronta.
Così accantonato l'addebito, l'impulso vendicatorio si appuntò sulla casa.
Nostra signora del web, le aveva preannunciato in una delle sue tante apparizioni, che la madre che ottenesse la collocazione prevalente del figlio (quanto la odio l'espressione "collocazione prevalente" che mi sa di pacchetto sullo scaffale!), aveva diritto all'assegnazione della casa coniugale.
Figurarsi se potevo contraddire internet.
Mi permisi però di farle notare che la casa coniugale nello specifico, era un appartamento in un edificio di quattro e gli altri tre erano abitati, rispettivamente, dai genitori, i nonni e la sorella.
Di lui.
Ora, hai un marito che ti lascia per un'altra, è doloroso, molto doloroso, e fa pure un filino arrabbiare.
Perchè devi metterti nella condizione di trovartelo sott'occhio ogni tre per due mentre va la domenica a pranzo da mamma, a fare una visitina a nonna, a giocare coi nipotini?
Perchè vuoi rosicare ogni volta che ti passa davanti con lei ?
Perchè devi metterti in condizione di litigare con tuo figlio ogni qualvolta vede il babbo, vuole andarci e, siccome non è il suo pomeriggio, non glielo dai?
Nulla.
Non ci fu nulla da fare: le toccava e lo voleva.
Altro che contributo per un nuovo alloggio, che in affitto andasse lui!
E io, che lo dico a fare?
Un avvocato peggiore non si era mai visto.
Ottenemmo quanto richiesto, consensuale e omologa.
Ora chiama perchè non ce la fa più e vuole chiedere la modifica delle condizioni della separazione.
Cosa è cambiato nella sua condizione economico - patrimoniale?
Subisce molestie?
Minacce? Insulti?
Niente?
Su quali presupposti, dovrei muovermi, signora?
Forse, se suo marito è disponible si può trovare un accordo, ma se, per caso, ha scoperto che vivere a 3 chilometri da mammina sua è meglio, la vedo bigia.
E io? che ve lo dico a fare?
Un avvocato peggiore non si è mai visto.






lunedì 16 giugno 2014

Dura la vita per chi ti vuole bene

Caro te,
non dovrei parlarne, ma fa male, e se facesse male a me, guarda, starei anche zitta.
Non sono io, però, che piango andando a letto, molto tardi, al termine di una domenica sera che aspettavo da quasi sei mesi.
E lo so, perchè io capisco, maledetta me e la mia insopportabile capacità di capire.
Capisco che eri a lavorare e che il tuo lavoro non distingue, banalmente, sabati e domeniche.
Capisco che te ne stai a nove ore di fuso e quando torni, hai mille e mille cose da sistemare, chiudere, aprire, decidere, archiviare.
Capisco anche, guarda, che magari tu fossi stanco, stravolto e non avessi tutto questo entusiasmo di riabbracciare, in quello stato, persone molto amate ma che certo avrebbero attaccato con le loro solite recriminazioni.
Capisco che questi bambini siano per te una grande gioia ed un affetto vero e forte, ma anche che questa gioia, in questo momento della tua vita, sia un meraviglioso intermezzo, quando è possibile, se è possibile e se no, pazienza.
Ecco, magari, però non dare appuntamenti, non fare proclami, perchè non tutti, al netto dell'affetto, sono professionisti super specializzati e super rampanti adusi a girare il mondo come il cortile di casa.
Alcuni sono bambini
Bambini che hanno cominciato ad aspettarti venerdì pomeriggio, hanno continuato sabato e, domenica mattina, alle sette, non erano più neanche in grado di capire che "dopo pranzo" è dopo pranzo.
Bambini che, ieri, non sono usciti di casa, nemmeno in giardino, per non correre il rischio che tu arrivassi mentre erano distratti.
Bambini che ti hanno aspettato fino alle nove e mezza, sul balcone dei nonni, anche se pioveva e faceva freddo, e sospiravano ogni qualvolta si accorgevano che neanche quella macchina di sarebbe fermata, che non era la tua.
Bambini che si sono addormetanti piangendo perchè tu, stasera riparti e prima vi rivedrete, forse, un paio d'ore.
Ecco, io lo so che questa è la vita, che va bene così e anzi, ciò che fai e che sei è bellissimo, però
cazzo se fa male a volte.

giovedì 12 giugno 2014

Mamma ci racconti di un eroe vero?

Abbiamo un rito: prima di dormire, a luce spenta, mamma o babbo raccontanto ai nani una storia.
Attila e Totila non sono bambini privi di pretese, come ho già detto, ma ieri sera mi hanno messo in difficoltà.
Io, infatti, con gli eroi sono messa maluccio, non ne trovo uno che mi soddisfi.
Il fatto è che, quasi inevitabilmente, ogni eroe è tale solo per la sua parte e a me rimane difficile dare un'immagine parziale, non approfondita, dei fatti.
Problema mio, lo so, ma mi è sempre parso discutibile anche Muzio Scevola, chè chiedetelo a Porsenna cosa ne pensava del giovanotto infervorato che gli portarono davanti.
Ho provato a buttarmi su storie di fantasia, ma la richiesta era precisa e non si sono fatti fregare: un eroe vero, nato e morto, di ciccia insomma.
Ed allora mi è venuto in mente Rodolfo Siviero
Non che anche lui sia esente da critiche, volendo, chè qualcuno potrebbe sostenere che avrebbe fatto meglio a lasciare perdere e non fare ciò che fece.
Lo deve avere pensato anche lui perchè, con spirito tipicamente fiorentino, chiese ed ottenne di essere sepolto nella basilica di Santissima Annunziata, ma in un loculo anonimo, senza nome.
Modesto, certo, ma anche accorto chè non si sa mai
Comunque Rodolfo Siviero è stato l'eroe del giorno.
Che fece?
Passò parte della sua vita a impedire che ci fregassero le nostre più belle opere d'arte e l'altra ad andare a riprendersele, i nazisti infatti, prima e durante la seconda guerra mondiale avevano spogliato e depredato un po' in ogni dove: da Pompei e Capodimondo a Montecassino, dagli Uffizi ai musei romani, dalle case private (a Goring non dispiacevano i De Chirico che il pittore teneva a casa sua a Fiesole) a capolavori più che pubblici, universali (dalla Danae di Tiziano all'annunciazione del Beato Angelico, alla Madonna del solletico, dal Discobolo Lancellotti ai Rubens, dai Tintoretto ai reperti etruschi e romani e chi più ne ha più ne metta)
E non pensiate che se ne stesse seduto ad una scrivania a siglare letterine più o meno cortesi.
Non erano i tempi, a parte il resto.
Si comportò da vero agente segreto e fece anche un bel po' di doppio gioco, rischiando le penne di qua e di là, fu arrestato e torturato a Villa Triste e se la cavò grazie all'aiuto di altri doppiogiochisti come lui.
Aiutò i nazisti nell'impacchettamento e nel trasporto, così da sapere da dove passava cosa, e quali erano le tappe e le destinazioni
Avvertì gli alleati quali convogli non bombardare, non attaccare.
Avviò e mantenne contatti per farsi restituire quella enorme mole di capolavori e non smise mai di cercare cosa non ritrovò.
Insomma non uno stinco di santo forse, ma uno a cui dovremmo essere grati.
Almeno un pochino di più

mercoledì 11 giugno 2014

un matrimonio in famiglia

Si sposa la cugina n. 3 ed è un evento.
Lo è, prima di tutto, perchè per citare suo nonno: "mai nella vita avremmo pensato che trovassi uno che davvero ti si piglia, che ti sposa addirittura"
Non avrei saputo dirlo meglio chè la mia cuginetta, quando vuole, è una tigre saldamente aggrappata agli attributi e anche quando non vuole, ci va pericolosamente vicina.
In questo, devo dire, il sangue conta.
Lo è perchè nel suo ramo della famiglia un matrimonio è una cosetta giusto un filino complessa, di quelle da ponderare per un annetto, nello strenuo tentativo di abbinare anche la carnagione dell'officiante alle sfumature della scarpe della prozia Liliana.
Noi ci abbiamo messo un mese e mezzo, lavorando e con un nano di 5 mesi.
Semplicemente non posso capire.
Sinceramente non ci provo nemmeno.
A gentile richiesta, mi sono detta disponibile a scrivere a mano i segnaposti ed il tableau, ma non le partecipazioni. Mi dispiace ma a tutto c'è un limite.
Questo e un paio di altre osservazioni (inascoltate) su particolari del tutto irrilevanti, è il mio contributo alla faccenda.
Ora però mia mamma si è comprata il vestito.
Altro non dico.
La sorella della sposa, nonchè cugina n 4, mi descrive il suo abito impedendomi, oltretutto, con la sua giovanile euforia di dire ciò che penso: "speriamo tu sia del tutto incapace di descrivere un vestito, perchè altrimenti tua sorella avrà per testimone Barbie superstar"
La cugina n. 2, quella del mio cuore, mi ha fatto fare una sessione di shopping via web ed è tornata a casa da un negozio di Barcellona con un abito lungo fino ai piedi che si potrebbe definire da sera.
Lei.
Da sera.
Io pensavo a una cosina sobria e normale, riutilizzabile persino.
Che faccio, telefono alla Moira per sentire se le avanzano un costume di scena e un turbante?

lunedì 9 giugno 2014

Vecchio, nuovo, conservare, innovare, ripartire.

Oggi mi è presa così.
Ieri leggevo un post, interessante, come sempre, (http://lasciasulluscio.blogspot.it/2014/06/la-minuzia-e-le-dinamiche-da-scrutinio.html) sulla scuola e su come se ne possa ipotizzare un cambiamento.
Oggi ho trovato (http://www.valentinavaselli.com/2014/06/leffetto-varsavia.html) questo bellissimo omaggio ad una casa nuova, ma già molto amata.
Sono settimane che mi trovo coinvolta a vari livelli in una questione relativa all'organizzazione scolatica nel mio comune che da un lato mi fa ghignare come la velenosissima e sarcastica vipera che sono, dall'altro mi apre a riflessioni più profonde.
Ora, superficialmente e per capirsi, la questione è questa il nuovo sindaco (uno che, lo dico a scanso di equivoci, non ho votato) ha deciso di mettere mano all'edilizia scolastica in uno dei paesi sotto la sua giurisdizione per riorganizzare e razionalizzare (vocaboli di moda).
In sostanza la sua idea sarebbe di risistemare l'edificio veramente idoneo e funzionale, esistente ed intervenire sul resto, costruendo una specie di campus alla periferia così da dismettere l'asilo che, sarà bellissimo messo lì nel vecchio villone, ma a tutto risponde tranne che agli standard richiesti per l'uso cui è destinato ed ha bisogno di interventi strutturali e, infine, rendere alla curia l'edificio delle medie, che ha i suoi problemi e soprattutto costa all'amministrazione quei 200000,00 Euro tondi tondi ogni anno di affitto.
Tutt'al più dice, che questi edifici erano previsti quando ogni classe aveva almeno 5 sezioni per anno, ora sono la metà.
Ha fatto bene?
Di più.
Se fa quello che dice, o almeno ne fa buona parte lo voto a nastro finchè non me lo impediscono.
Tutto bene allora?
Ma quando mai!
Se lo stanno mangiando come se fosse pane.
I meno svegli, o i più semplici d'animo se preferite, non tollerano l'idea che, visti i lavori, i ragazzini delle medie dovrebbero andare nell'altro istituto del plesso a 5 chilometri di distanza, perchè l'amministrazione, comprensibilmente direi, preferisce fare "viaggiare" dei preadolescenti che dei bambinetti di prima elementare.
Fanno così tanto casino che la preside (un genio) ha fatto verbalizzare che, secondo lei, sarebbe meglio mandare in giro dei bimbetti che 'sti teneri virgulti sull'orlo della rivoluzione ormonale.
 Gli altri hanno preoccupazioni meno materne secondo me.


E fin qui il veleno
Cioè fin qui la parte che mi viene meglio.
Ora inizia il difficile, leggendo quelle riflessioni, non ho potuto che pensare a come sia giusto, doveroso e bello conservare, ma anche a come sia giusto, bello e doverso innovare.
E a come questo secondo aspetto invece, appaia al limite dell'impossibile in questo paese.
Non è nemmeno troppo difficile capire il perchè: il consumo del suolo è drammatico, le opere pubbliche decise per ragioni diverse dalla pubblica necessità innumerevoli, la sfiducia che ciò che si dice sarà fatto a livelli stratosferici
Anche nei piccoli comuni "nascosti" dove questi atteggiamenti sembrano lontani come la luna, non ci si può esimere da altre considerazioni, forse più intime e perciò ancora più difficilmente estripabili: in Italia c'è già molto, anche troppo, conservare è una cosa che non può essere vissuta come sbagliata o retriva, anzi.
Lo spazio però è quello, ed intendo anche spazio mentale, emotivo.
Si nasce con un bagaglio bellissimo ma pesante e dirsi che lo si è conservato è già farsi un gran complimento.
Questo basta?
No
La soluzione allora  è non conservare se non quelle 10, 10, 1000 meraviglie universalmente note e lasciare perdere il resto?
No
Non mi interessa una scuola che scordi Gentile, ne vorrei una che si ricordasse la Montessori (e non è che abbia 30 anni nemmeno lei, in fondo). Non voglio un posto con le lim in cui non si sudi su Tacito perchè la soluzione tanto c'è (chè la soluzione c'è sempre stata, ma il cervello è ancora un muscolo) o in cui si "esprimano opinioni" su Kant. Voglio una scuola che inserisca gli strumenti e gli argomenti dell'oggi in un tessuto antico, ricamando con la perizia che serve, sull'arazzo che c'è.
Non voglio un paese dove si lascino cadere palazzi antichi per costruire edifici nuovi e magari, pure, brutti, ma neanche un posto dove niente può essere toccato come se girassimo ancora con carrozze e cavalli. Voglio la tranvia 2, 3, 4 e 5, voglio collegamenti con aereoporti seri (e non campi di volo necessariamente imbarazzanti), voglio che nel mio paese, ma anche in centro a Firenze si possa demolire, si demolire, e finisca la pagliacciata della città tutta vincolata.
Firenze è stata pesantemente distrutta durante la seconda guerra mondiale, tutti i lungarni tra i due ponti: a santa Trinità  ed alle Grazie furono rasi al suolo per evitare la distruzione del ponte Vecchio, per esempio. Quei palazzi non hanno ragione di essere vincolati. Uccidetemi, ma credo che quelli, come altri quartieri potrebbero essere toccati eccome. Certo non con grattacieli da 200 piani, ma con interventi mirati perchè no?
Voglio un paese che non perda la sua identità, questo è ovvio, e nemmeno le sue tradizioni. Mi vanno bene anche le più becere.
Mi va bene l'oste che non serve ribollita alle 10 del mattino e perde serenamente clienti che pretendono "spaghetti with meatballs" perchè se diventiamo "come tutti" perdiamo quella particolarità  che ci rende attraenti, ma vorrei che quell'oste potesse spiegare in un inglese (francese, tedesco, russo, cinese, indù) fluente dove se le devono mettere le meatballs i suoi avventori.
Vorei un posto che sapesse ripartire guardando cosa c'è di bello fuori, ma non denigrando cosa c'è dentro.
Insomma la luna.
Però mi accontento, voi zittitemi questi genitori e io poi, torno a sognare in silenzio

giovedì 5 giugno 2014

Pagamenti elettronici. Stato dell'arte e due o tre considerazioni

E' capitato un po' a tutti, credo, di trovarsi all'estero e notare una grandissima disinvoltura nell'uso delle carte elettroniche per pagamenti anche di importi molto bassi.
Nel patrio suolo, invece, molti usano il bancomat o la carta di credito per acquisti di medio importo, ma pochissimi lo fanno per pochi spiccioli.
In verità la tendenza si sta diffondendo, ma non si può certo dirla maggioritaria.
Da molte parti, si attribuisce l'abitudine al contante all'arretratezza italica, alla pigrizia, al fatto che c'è chi ha del buon nero da fare circolare nonchè alla cattiva educazione dei negozianti o dei gestori dei servizi che, non di rado, storcono la bocca davanti alla richiesta di pagare col bancomat .
Sicuramente queste motivazioni sono vere. Tutte vere.
Non sono le sole però o comunque, è facile darsi risposte superificiali senza prendersi la briga di approfondire.
Qualcuno si è mai chiesto quanto incide il canone fisso e la commissione bancaria per ogni versamento tramite un pos sul prezzo? su chi grava questo onere finanziario?  Come è calcolato il isngolo importo che l'istituto si trattiene? se è prevista un'armonizzazione a livello europeo?
No eh?!
Nemmeno io.
Poi mi è capitato di andare in tabaccheria per acquistare marche da bollo e contributi unificati e mi è stato detto che, per importi superiori ai 100 Euro, se pagavo col bancomat avrei dovuto aggiungere 1 Euro.
Non l'ho presa affatto bene ed ho cambiato esercente.
 Tempo una settimana ed anche il nuovo ha inaugurato questa abitudine.
Ormai lo fanno tutti
Ho chiesto e mi è stato risposto che lo Stato versa ai tabaccai per l'attività di riscossione di questo ed altri oneri (bollo auto, per es.) una frazione x dell'importo che noi tutti versiamo. Questa frazione, se la somma supera i 100 Euro, è inferiore all'importo della commissione applicata dalle banche per il pagamento tramite pos.
 Ergo l'esercente ci rimette del suo.
Dovrebbe esserne felice?
Difficile no?
Esiste ovviamente una direttiva europea, che però fa acqua da tutte le parti tant'è che il Parlamento UE sta cercando di porre un tetto unico europeo alle commissioni bancarie. Inoltre, da noi, è vietato addebitare sul consumatore il costo realtivo allo strumento che decide di usare per pagare la merce o il servizio, procedura invece considerata non solo legittima, ma normale in altri paesi membri come la Gran Bretagna (basta guardare uno scontrino)
La faccenda, non lo nascondo, ha iniziato ad interessarmi (ed a farmi infuriare) in vista del prossimo 30 giugno, termine in cui tutti dovrebbero dotarsi di un pos.
In verità la legge imporrebbe a tutti di allestire una postazione che consenta il pagamento elettronico.
Le due cose non sono sinonimi chè i miei clienti possono farmi un bonifico dall'home backing anche adesso, senza lasciare il mio studio  e senza alcun problema: ci sono anche troppi computer con accesso protetto ad internet e tutta la privacy necessaria.
Si sa però, da noi oltre alle leggi, ci sono i decreti ministeriali, quelli applicativi...insomma dice che ci vuole il pos.Mi sono informata in più istituti e, visto che faceva troppo figo, ho anche ascoltato uno della apple che mi sprolquiava che posso comprare un micro lettore da appiccicare al'i pad e sto a posto,.
Ogni transazione, mi costerebbe solo 2 Euro, senza canone mensile.
Ed in effetti ci mancherebbe solo quello per completare il quadro così che uno spende per comprarsi l'apparecchio, per le transazioni e pure corrisponde un canone di utilizzo
Insomma un vero affare
Resta da stabilire per chi.
Forse, e dico forse, se si vuole incrementare il pagamento con denaro elettronico, invece di prevedere obblighi che, mi sento di dire, saranno assai probabilmente disattesi nei fatti (con pos nascosti nel cassetto di fondo degli archivi e dei magazzini), è più opportuno far presente agli istituti bancari che tasse, imposte, balzelli, sono già più che sufficienti, così come  i già ridicoli costi di gestione e non di rado, di transazione.
Dei pagamenti elettronici dei bolli non parlo, per carità di patria.
Sono però consapevole che, a forza di tacere per carità di patria, finirò muta

martedì 3 giugno 2014

Bacco e le sue evoluzioni

Lo scorso fine settimana abbiamo approfittato del ponte lungo per andare al mare.
Niente di orginale.
Tornando abbiamo fatto una strada che mi è cara, perchè porta con sè odori e colori dell'infanzia e la meraviglia, sempre nuova, per questo posto che chiamo casa.
Salendo dal mare verso Volterra si incontrano luoghi senza storia, con una chiara e malinconica impronta da archeologia industriale: linee ferroviarie nate per il trasporto del sale unite ad una manciata di case messe lì per chi nelle saline lavorava, per esempio.
Appena si supera la pianura però, i campi riprendono il sopravvento e con loro le case rurali, sparse qua e là.
In questo periodo c'è il grano, che sta passando dal verde al biondo, senza troppa fretta, c'è il rosa intenso dell'erba medica, il giallo spavaldo delle ginestre e, come sempre, il bianco di calanchi e biancane, fonte del prestigioso alabastro.
Una strada piena di curve che svela un paesaggio meraviglioso ad ogni sterzata.
Passata Volterra, aspetta Colle Val d'Elsa, altra delizia per chi ha tempo di godere dei particolari.
Poi si comincia a diffondere il "puzzo di casa".
E' stato così, mentre facevamo l'ultimo tratto e discutevamo se scegliere una o l'altra uscita dell'autostrada che l'occhio mi è cascato sulla cantina del Bargino.
Gli Antinori l'hanno finita ormai due anni fa, ma è così armonizzata col terreno che non la si nota quasi.
Allora siamo andati a vederla.
Ed eccola qua (in foto prese dal web)

 

Oggi scopro che a giugno, nell'auditoriun vicino al museo, si terranno concerti di musica classica per un'iniziativa che si chiama "melodia del vino" e che dire?
Sono contenta