lunedì 11 dicembre 2017

Coder dojo Paesello

Ho scoperto il coder dojo anni fa leggendo un post su un blog di una mamma con tre figlie femmine e un bel cervello.
L'idea mi è piaciuta un sacco ed ancora di più mi è piaciuto che i rudimenti della programmazione (coding) si sperimentassero in un dojo tra ninja.
Un nome così se lo assegnano solo dei pazzi megalomani o persone che non si prendono sul serio.
La fondazione internazionale opera in un centinaio e passa di paesi (138 se non mi sbaglio) ed ha una quarantina di club in tutta Italia
Sono club presi d'assalto e, almeno a Firenze, trovare posto per una delle iniziative periodiche è estremamente difficile perchè le richieste sono molte ed i posti limitati
Non sono pochi i ragazzini cui piace l'idea di programmare il loro personalissimo giochino e poi, magari, creare un'app o una pagina html.
Soprattutto non sono pochi quelli cui piace confrontarsi col peer to peer, ragionando tra pari o con l'aiuto di persone poco più grandi, insomma utilizzando il famoso imparar facendo.
Sono belline quelle sale piene di tante testoline affacciate su altrettanti schermi.
Lo so che per qualcuno questa mia frase è poco meno di una bestemmia: tutti affranti dalla tecnologia, tutti convinti che i ragazzini debbano essere tenuti lontani dallo strumento il più a lungo possibile per crescere "sani e felici".
Io invece penso che prima imparano ad usarla, prima divengono consapevoli e soprattutto se e quando ne divengono utilizzatori attivi, capaci di guardarci dentro, di chiedersi e (magari) rispondersi perchè di certi fenomeni, meccanismi, processi, meglio è, per loro e per tutti.
Ho ancora l'idea romantica per cui sapere è potere.
E stare lontano da uno strumento indispensabile significa prepararsi a capire molto poco del mondo che ci circonda.
E lo dico con certezza, guido da quasi trent'anni e non saprei trovare un carburatore neppure ne andasse della mia vita.
In più, l'età, la crisi, le gravidanze, qualche turba ereditaria o originaria, mi hanno convinto che le lamentazioni sono noiosissime, le recriminazioni sterili e stare con le mani in mano è deleterio.
Mi avvicino, lentamente e facendo il massimo della resistenza, ai 50 ed ho deciso che è tempo di fare, di rendere dove ho avuto, di dare ciò che ho.
Quindi, il paesello ha il suo gruppo coder dojo fattoincasa.
Si riunisce alla casa del popolo (che è del popolo e quindi è il posto suo), perchè il presidente è un amico di infanzia del sant'uomo ed ha fatto l'errore di dire che è tutta cablata, con la fibra, il wi fi, il gir' a reggere e quello a levare.
Champion (responsabile) è il babbo di una mia amica, ingegnere ottantenne dal piglio energico e l'aria sorniona del nonno di tutti.
A dare una mano come mentor, ci sono un po' di babbi e mamme con competenze specifiche, due ventenni (nipoti di non so chi) che hanno una startup tecnologica e si sono presentati spontaneamente attratti dall'idea e, soprattutto, uno stuolo di ragazzi e ragazze di un istituto tecnico col loro professore di informatica; assolvono così ad una parte dei loro obblighi di alternanza scuola - lavoro (e si divertono).
Un amico di amici, che lavora nel settore, ha donato una quindicina di computer in via di dismissione.
E così, in ossequio al posto che ci ospita ed alle nostre idee, possiamo includere anche i ragazzi che non possiedono un portatile, chè il coder dojo fichetto per fichetti, ci stava un po' stretto.
Io porto la merenda e giro sorridendo e chiacchierando come Ambra a non-è-la-rai, mentre il sant'uomo, cui va tutto il merito della riuscita, mi detta le battute tramite auricolare.
Al primo incontro, di prova, c'erano 26 ragazzini, tutti avvertiti solo col passaparola e tutti, più o meno, figli di amici o amici di amici.
Sabato facciamo il secondo e poi da gennaio si va a regime con l'obbligo di prenotarsi 5 giorni prima on line e le magliette col logo per lo staff.
Sarò davvero felice quando avremo tante femmine quanti maschi.
Erano tante, ma non abbastanza

giovedì 30 novembre 2017

Milano, ieri

Milano ha un suo fascino.
Non è un a cosa evidente, squadernata, te lo devi andare a cercare
Per dire, ti piace la stazione, quelle enormi volte di ferro vagamente liberty, ma trovi pesante e troppo magniloquente la facciata, con tutti quei marmi e quei frontoni; fascista, non razionalista, non omaggio alla retorica sabauda del Vittoriano o della Cassazione.
Ti piacciono certi edifici modernissimi, quasi alieni per un Paese come il nostro, ma in generale trovi anonimi e un po' tristi tutti quei palazzoni del centro, parallelepipedi grigi, funzionali, nei quali intuisci ma non vedi, bellezze nascoste.
Adori i cortili. Li capisci. Anche i tuoi palazzi si aprono in spazi inimmaginabili dall'esterno
Raramente arrivare a Milano dopo una levataccia, ti fa sorridere.
Arrivare a Roma sempre.
E' un paragone logoro e stantìo, ma questo è
Il fatto è che da Milano ti aspetti efficienza, a Roma vai sempre un po' in gita, sperando in bene, pronta al nulla di fatto.
A Milano vai a lavorare e, poi, se ci scappa, a goderti la città.
A Roma vai per Roma, se riesci anche a portare a casa l'udienza, tanto meglio.
Ieri c'era nebbia. pesante densa, nebbia che bagna come pioggerellina; non ci sei abituata, a casa tua fa freddo, tira un vento che ti taglia in due, piove con una violenza che fa ballare i vetri, ma nebbia mai.
La nebbia la odi: per una che vive in un mondo fuori fuoco, rendere i confini delle cose ancora più incerti è la somma cattiveria.
Odi anche doverti portare dietro la toga, soprattutto in trasferta, soprattutto in inverno, ma hai imparato a tue spese che devi farlo perchè a Milano sono formali, anche nelle udienze civili, anche nelle stanze dei giudici.
Il palazzo di giustizia, in effetti, invoglia, le aule della corte d'appello sono solenni.
Il lavoro no, quello è sempre uguale.
Mancava il fascicolo di ufficio del primo grado.
Fosse stato il tuo, di parte, avrebbero dichiarato il ricorso inammissibile e ciao, vai ad attivare la polizza professionale vai, bellina. 
Manca quello d'ufficio?
Rinvio a marzo.
Speriamo ci sia il sole 

lunedì 20 novembre 2017

Di palle in volo e perfezione

Tengo in equilibrio moltissime palle di questi tempi.
Alcune sono di vetro sottile, sfere lievi ed iridescenti come bolle di sapone.
Non posso farle cadere, si romperebbero, ma devo anche fare molta attenzione a maneggiarle: una pressione troppo forte nel lanciarle o nel riprenderle e si sbriciolerebbero nelle mie mani; distruggendole, mi ferirei.
Altre sono di piombo, piene, pesanti, non posso farle cadere senza rischiare una fitta nel pavimento ed anche lanciarle e riprenderle richiede un certo sforzo, fletto le gambe per dare slancio o attutire il colpo. 
Altre ancora sono di gomma, se cadessero non succederebbe niente probabilmente, ma l'orgoglio è un grave difetto.
Mentre cerco di mantenere la concentrazione, parlo con un'amica.
Anche lei, come me, è nel ramo degli equilibrismi.
Anche lei, come me, a volte si fa domande oziose.
Mi chiede se, secondo me, abbiamo fatto bene a volere tutto.
Potevamo rinunciare al lavoro, o ai figli, o a stare con i nostri vecchi, o a qualcos'altro.
Rinunciare è parola che non mi piace e quindi le rispondo che non abbiamo sbagliato.
Sbagliamo solo a volerlo perfetto.
Mi guarda di sotto in su, oltre il bordo di una, per me disgustosa, tazza d'orzo, e mi rintuzza, lei non lo vuole perfetto, vuole solo il meglio che riesce a fare, ad ottenere.
Già.
Perfetto quindi.
  

lunedì 6 novembre 2017

Tecnologia applicata alle medie. L'età della pietra potrebbe essere finita, ma....

Attila è in prima media alla scuola del paesello.
Ci siamo arrivati dopo un esame razionale delle varie opzioni, offerte formative, POF (che non sono purtroppo poggiapiedi particolarmente gonfi), più o meno mirabolanti visite guidate e via discorrendo, applicando il criterio più importante di tutti: quello della comodità.
Si trova bene.
E io posso continuare a discutere in consiglio di istituto.
La sola cosa che mi aspettavo dal punto di vista dell'approccio al mondo moderno, era una quotidiana giratina nel "laboratorio di informatica", che so, due carezze alle stampanti 3D, l'impostazione di un nuovo comando alla versione didattica del noto giochino interattivo, un ciao ciao dai robottini o due note con la scheda audio.
La quantità di volumi impilati sulla sua scrivania, non deponeva a favore di altro che di un sano e sudato metodo tradizionale: studi sul libro, fai gli esercizi, scrivi ed esponi e ti riunisci con i compagni per le ricerche di gruppo (che farai col computer giacchè le enciclopedie non le tengono più nemmeno in biblioteca).
Invece....
Invece la scuola chiede che ogni ragazzo sia dotato di proprio indirizzo di posta elettronica in modo che lo scambio di materiale tra insegnanti e studenti possa avvenire con questa più semplice e veloce modalità, senza spreco di carta (della scuola) e con l'uso di file immagine e audio.
I professori di lingua hanno fatto scaricare su computer e smartphone una nota applicazione che promette risultati mirabolanti (nella versione con registrazione e verifica dell'insegnante) e approfittano della mania per lo spippolamento compulsivo per portare a casa una maggiore attività.
La prima ricerca di epica assegnata ad Attila doveva essere presentata in power point.
E qui casca l'asino.
Power point può andare bene per esporre due dati, un istogramma, un aerogramma roba così.
Nel mio mondo le slide si usano o per trascrivere una norma, un principio, o per illustrare un percorso concettuale, una mappa, un diagramma ad albero e ci si parla sopra.
Non si fanno decine di "pagine" fitte di contenuti in power point a meno che non si odi la platea.
Già.
Niente
La ricerca faceva schifo
Una noia mortale.
La consapevolezza che c'è differenza tra la presentazione di un lavoro ed il lavoro che si presenta, è lontana da venire

venerdì 20 ottobre 2017

me too o non me too? E l'impossibilità di essere organica

Confesso che di tutta la faccenda del produttore molestatore/stupratore/porco mi ero bellamente disinteressata.
Interesse personale: 0 tendente all'infinito
La cosa mi era entrata da un orecchio ed uscita dall'altro senza incontrare nemmeno un neurone morto che intralciasse il suo tragitto.
Una sera, addirittura, un'amica molto attenta a queste tematiche ha chiesto, su facebook, ai suoi contatti donne, se avessero mai subito molestie e se avessero voglia di condividerle.
E io non ho capito nemmeno lì.
Però a me non è mai capitato e l'ho scritto.
Siccome sono sincera ho scritto di questi episodi qui (https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=8552048451400578795#editor/target=post;postID=1679704312792476375;onPublishedMenu=allposts;onClosedMenu=allposts;postNum=158;src=postname) precisando che, ovviamente conosco il sessismo, ma vivo in modo distinto il sessismo e le molestie sessuali.
Una valanga di gente mi ha chiesto come ho fatto.
Come ho fatto a non farmi mostrare piselli mosci in angoli bui, a non farmi strusciare addosso esseri bavosi, a non ricevere proposte irricevibili e a non farmi urlare sconcerie in mezzo alla strada?
Non ho fatto nulla
Ho vissuto la mia vita.
Però.
Mi sono trovata a pensare che forse non era vero.
Mi hanno spinto a pensare che forse non era vero, qualcuna lo ha proprio insinuato.
Voglio dire se tutta questa gente è stata oggetto di molestie.
Se tutte queste donne si sono sentite umiliate.
Se il messaggio è che tutte le donne, almeno qualche volta, sono state colpite da questo stigma.
Perchè questo è il messaggio che circola.
Allora io, che sono una donna, non posso esserne esente, forse, semplicemente, non me ne sono accorta perchè sono parte del problema.
Maschilista
Sono maschilista?
O troia?
O una troia maschilista che non si sente insultata, come dovrebbe, se un collega fa un'osservazione sulla felice scelta di un abito o si accorge che, per strada, qualcuno le guarda il sedere.
Peggio, una molestatrice chè io faccio complimenti e guardo sederi se ne vale la pena.
Io non mi sono mai sentita molestata, ma forse, qualcun'altra, in situazioni analoghe, lo sarebbe stata.
Tolti i casi evidenti, dove inizia la molestia?
Qual è il discrimine?
La percezione certo, ma basta?
E pensandoci bene, alla fine, anche per il produttore vale lo stesso.
Posto che lui è di certo il mostro che descrivono e le sue vittime sono tutte vittime perchè tutte persone in posizione di svantaggio.
In generale.
Dove inizia la molestia e dove la libera scelta di usare il sesso per altri scopi, quello che a me (che sarò bigotta) viene da riassumere col termine prostituzione?
Per come la vedo io, tutta questa faccenda, non ha, o non avrebbe dovuto, porre in evidenza un solo enorme problema; ridurlo a uno, in fondo, è quello che ha scatenato tutto lo sterco su Asia Argento e company, i problemi, se vogliamo davvero parlare di molestie, sessismo eccetera, sono due.
Uno è la questione maschile: il comportamento di chi abusa e deve essere punito, stigmatizzato, ostracizzato.
L'altro è quella di evitare di fare di tutta l'erba un fascio, di essere tutte vittime, anche quando non tutte lo siamo. Di perdere di vista i fatti. Perchè i fatti, come sa ogni buon avvocato contano e se ti ostini ad ignorarli, poi alla fine fai un disastro.
Quindi, il punto non è negare che ci siano persone che si prostituiscono (col corpo, con l'intelletto, maschi o femmine), ma capire caso per caso chi è vittima e di che cosa
Anche questo aspetto, infatti è o può essere, il precipitato di una cultura maschilista: l’uso del corpo (soprattutto femminile) come merce di scambio consapevole e volontario . Non vittima, forse complice. Di certo un uso scelto liberamente
Perchè se neghi questo aspetto non solo perdi un pezzo, ma ti trovi, per condurre battaglie sacrosante, a scrivere che chi ha subito la violenza cedendo alla coercizione psicologica è vittima (e dovrebbe essere ovvio) e quella che non lo ha fatto è stupida dal momento che così ha accettato, nonostante la laurea, di finire a fare fotocopie e rinunciato alla carriera.
E io ti chiedo (e mi chiedo) dove sarebbe la differenza tra il tuo modo di ragionare e quello di chi dà della troia a chi ha ceduto

lunedì 9 ottobre 2017

Varie

1.
A scuola di Attila fanno i test di ingresso.
Non ho idea di cosa siano in concreto e non me ne interesso.
Giovedì sera però compare in cucina mentre sbatacchio pentole: sono sveglia dalle 5 del mattino ed ho visto giornate migliori.
Ha un foglio in mano e l'espressione di uno che ha accettato una sfida, ma sente che sta per perderla.
Sul foglio, c'è un specie di rompicapo, fatto di griglie con qualche numero, qualcosa che ha a che fare con le tabelline e con la loro collocazione in quegli spazi. Prima che me ne accorga, siamo chini sul tavolo, testa contro testa, a cercare di scoprire se in quella riga c'è la tabellina del 27 e se quello spazio è dedicato al 27 per 13 o no. Le indicazioni diminuiscono via via che i quadri progrediscono e le difficoltà aumentano.
L'ultima non riusciamo a completarla, ci arrabbiamo e accapigliamo.
Alzo la testa e so che il mio babbo se la ride da qualche parte.
Ora lo so che non lo faceva solo per me.
E' davvero divertente.
2.
Siamo io, l'Ila e la Franc.
Mafalda, Candy Candy e tarantola.
Mangiamo pesce, anche se il pesce, a pranzo, a Firenze, è una roba che fa tanto "signore" e mi soddisfa poco.
Stiamo incredibilmente riuscendo a mantenere la promessa di vederci almeno una volta al mese, solo noi, col tempo per dirci le sciocchezze e non solo le cose importanti.
Mi sfottono: per i capelli ancora così lunghi (dietro liceo, davanti museo), per i tacchi ed i vestiti eleganti e perchè, ancora oggi, arrivando non resisto dal buttare l'occhio alla vetrina di quella gioielleria.
Non mi tiro indietro: una non è mai uscita dall'adolescenza, l'altra sembra ancora scappata di casa, ma con lo zaino della Mandarina ed il rolex della prima comunione.
Quando siamo insieme, non c'è nulla da fare, una parte di noi ha sempre 15 anni
Ed è quella più grande.
3.
Siamo in macchina Totila ed io, l'ho preso a karate e stiamo andando a recuperare Attila, che è stato spostato al gruppo superiore, nel paese vicino (sono fortunatissima lo so).
Come ogni sera passiamo davanti al muro del minuscolo cimitero di campagna dove è sepolto mio padre.
Non ci vado da tanto.
I vivi hanno esigenze più pressanti.
Per definizione.
Tutte le volte che passo da lì lo penso.
E' una cosa sciocca, ma è la stessa che mi è successa a lungo ogni volta che arrivavo al bivio per la casa di mia nonna.
Anche da lì passo ogni sera.
E' il pensiero di un attimo, ma mentre lo elaboro, Totila si intromette.
"Mamma" mi dice "lo sai che le nuvole hanno forme? Quello è un drago e quello un cammello!"
Prima che possa fare un'osservazione qualsiasi, riprende "secondo me è il nonno. Invece che col lego, gioca con le nuvole e ci costruisce le forme più incredibili. Può darsi no? gli piaceva tanto il lego"
Ed è dolce la consapevolezza che quando passiamo da lì, non sono la sola a dedicargli un pensiero.

lunedì 25 settembre 2017

Sesso e alcool nei rioni. La difficile transizione da ragazza a mamma di ragazzi

Non ho mai fatto vita da rione.
Non sono un tipo da feste paesane.
Il mio senso del ridicolo è molto sviluppato e, purtroppo per me, non si esercita solo sugli altri.
Anzi.
In più, non ditelo a nessuno, le sfilate di carri mi annoiano oltre misura.
Evitare certi ritrovi, però non mi ha impedito negli anni di assistere (e occasionalmente partecipare) a tutte quelle attività risibili, disgustose, stupide, pericolose, tipiche dell'adolescenza e della prima giovinezza.
Giusto due esempi
Sono andata in spiazzi di aperta campagna a fare testacoda con macchine nuove guidate da neopatentati convinti di essere novelli James Dean.
Siccome siamo sempre tornati tutti sani, quello che ricordo è che mi sono divertita come una matta.
Mi sono trovata, lontana da casa e con una profonda delusione da digerire, in un letto straniero con uno che (giustamente) si aspettava cose che però non avevo davvero intenzione di fare.
Siccome, era intelligente (lui), di tutta la faccenda mi è rimasto solo un bell'insegnamento.
Ho raccolto capelli in code che erano pugni, e retto teste, scosse da conati, ho scrutato incarnati verdognoli e pupille come capocchie di spilli. Il fatto che non mi sia mai davvero ubriacata e che non abbia mai lasciato che fumo, di nessun tipo, attraversasse i miei polmoni, sono solo da riferirsi al senso del ridicolo di cui sopra ed alla mia storia familiare.
La mia è la generazione di Christiane F e dello zoo di Berlino e no, non lo leggevamo a scuola come fanno ora, ce lo passavamo sussurrando da quelli con i genitori intelligenti a quelli con i genitori bigotti.
Ho visto gente "per bene" prostituirsi per una dose, morire con una siringa in un braccio. Non era l'alcool il nostro problema
E' anche la generazione del mostro di Firenze (Cicci per chi doveva convivere con la sua, poco piacevole, presenza e con il genius loci che su tutto trionfa)
La lista delle mie stupidaggini è tutto sommato modesta, ma abbastanza lunga da non farmi vergognare della mia gioventù, nè rimpiangere il tempo passato.
Ho buona memoria ed abbastanza letture per sapere che nemmeno l'essere più assennato può crescere se non valicando qualche limite, infrangendo qualche regola, gustando una qualche trasgressione.
Ed è per questo che ho ascoltato con ansia crescente i racconti delle serate trascorse da alcuni ragazzi del rione che gli unni vogliono frequentare, beccati in situazioni parecchio promiscue, in posti parecchio inadatti, con parecchio vino in corpo.
Non mi ha aiutato il sorriso di chi mi ha fatto notare che erano tutti maggiorenni, per cui ad Attila mancano ancora 7 anni buoni.
Maggiorenni e consenzienti, ho scoperto, è un buon inizio per me, ma non abbastanza
E quindi ora sono qui, la vecchia babbiona che non resiste dall'ammansire pistolotti sul rispetto di sè e degli altri  ad un ragazzino sbigottito.
Pare facile, ma c'è da tenersi lontani dall'antiquato e stantio moralismo senza incappare nel (falsamente) nuovo e sempre ingannevole "ogni lasciata è persa".

lunedì 18 settembre 2017

villeggiatura

Quest'anno, dopo tanto tempo, sono stata in villeggiatura.
La villeggiatura non usa più, lo sanno tutti.
E' una roba antica, come i vestiti su misura, le buone maniere a tavola, il corsivo, elegante e personale, gli asciugamani di lino.
Tutta roba stantìa, come me che, infatti, li amo tutti.
Siamo stati tre settimane al mare, nella casa del mare, sempre quella, nello stesso stabilimento di sempre (anche se per me il mare nello stabilimento non è mare).
Abbiamo lasciato che il tempo ci scorresse addosso, dolce e pigro, come l'acqua che, quest'anno, sfiorava la sabbia per educazione e convenzione, senza intenzione.
Ci siamo svegliati lenti e fatto la vita da spiaggia dei vecchi: la mattina fino all'ora di pranzo e poi il pomeriggio dopo le quattro.
Nel mezzo ci abbiamo messo un po' di compiti, qualche pagina sotto il gazebo, qualche pisolino, parole, risate, carezze.
La sera siamo usciti, fino a tardi, ridacchiando dell'insopportabile moglie anglofona del vicino d'ombrellone che si lamentava dei ragazzetti in giro fino ad orari inauditi e si faceva infamare sottovoce dai dirimpettai chè i suoi pargoli, messi a letto prima dell'ora di cena, la mattina alle 6 giocavano in giardino.
Abbiamo avuto ospiti.
E in quella casa lontana dalla quotidianità di tutti, abbiamo avuto modo da un lato, di riscoprire che la lontananza non spezza certi incastri lubrificati nel tempo e resi agili dall'uso, dall'altro accresce incomprensioni e fastidi. Non abbiamo risolto problemi, questo no. Però ci siamo guardati negli occhi senza uno schermo nel mezzo e, se ce ne fosse stato bisogno, abbiamo capito che la tecnologia è bellissima, ma le manca il calore.
Abbiamo cucinato, il giusto, vegano per lo zio, vegetariano per la zia, di tutto per la famiglia di mia cugina che, grazie al cielo, ha l'unica abitudine alimentare che comprendo appieno: ingredienti buoni, messi insieme per bene.
Abbiamo discusso, tanto, di politica, religione, soldi, salute, sesso, tra noi e con gli amici, compatendo un po' quelli che non discutono mai, non si sfottono mai, quelli beneducati insomma, chè io senza una buona dose di cattiveria mi annoio da matti.
Abbiamo persino rivisto "amici miei".
Un capolavoro assoluto
E di nuovo, se mi fosse servito, mi sono ricordata che quello che mi serve per essere davvero felice sono le persone.
Una settimana in montagna, e agosto era finito.
Quest'anno ho odiato settembre.

venerdì 28 luglio 2017

Stufa


Una delle cose che mi sono state ripetute innumerevoli volte durante la mia infanzia ed adolescenza è: se non hai nulla di positivo da dire su qualcuno, taci.
È un principio bellissimo, pieno di sensibilità e considerazione per il prossimo ed è anche utilissimo giacché le opinioni cambiano e le persone non possono mai essere comprese nella dicotomia pessime/splendide.
Solo che è troppo bello e nobile per me che, a volte, non riesco proprio a conformarmi, altre, proprio non voglio.
Da queste parti sono giorni difficili, lo sono, come troppo spesso accade, non tanto per i problemi concreti che pure non mancano, ma per attitudini mentali malate su cui non si sa e non si vuole intervenire.
Comincio a sentire che, questa volta, è la mia la serenità a rischio e che certe tecniche psicologiche di protezione (contatto zero, sasso grigio, pietra grigia) messe (più o meno) efficacemente in atto da altri, lasciano però la zavorra sempre più pesantemente sulle mie spalle.
Avrei del mio.
Sono stufa di portare rispetto e non abbandonare, di ricevere 5-6 telefonate in un’ora deliranti di ansia fuori controllo ed essere trattata come una esagerata se suggerisco che, su quell’ansia, bisogna intervenire e sul resto ci si può fare aiutare. Sono stufa del narcisismo, dell’assoluta mancanza di empatia, del tentativo costante di drenare energie per farsene nulla, della litania sul “come siamo disgraziati”.
Sono stufa anche di ricevere 3-4 telefonate in un ora di chi è lontano e, comprensibilmente, oscilla tra la preoccupazione e lo sminuire per rassicurarsi e non sentirsi in colpa, cerca appigli e non vuole sentire, ma poi risponde in modo orribile al telefono, blocca il numero, non resiste più di tre giorni l’anno e gli pare un sacrificio immane. Stufa di sostenere chi scappa, non da un posto, ma da un vissuto che ancora, a quarant’anni non sa affrontare. Tu, però, devi farcela.
E sono stufa di proteggere e rassicurare, anche se so che non posso smettere, perché i danni sono troppi, le ferite profonde, la verruca non estirpata e stare meglio, non vuole dire esserne fuori.
Insomma sono stufa marcia.
E ci sono anche un paio di cose che, a questo giro, non supererò.
Essere chiamata fortunata perché mio padre è morto e non devo più preoccuparmi per lui, mentre ci sono disgraziati che non vedono la fine del loro tormento (del tutto inventato), è una di queste.

lunedì 10 luglio 2017

Palpiti

Lei è minuta, magra, non è un tipo che spicca nella marea del centro estivo.
Solo se ci si prende la briga di guardarla, si nota che ha occhi meravigliosi, allungati, profondi, da gatta, e si muove con una grazia affascinante, più da ballerina classica che da pallavolista.
Avendo tempo da perdere, e volendolo perdere ascoltandola, di potrebbe scoprire che è pacata, ma tutt'altro che remissiva, ha i sogni enormi dei bambini e la determinazione implacabile di chi si affaccia alla prima adolescenza senza avere introiettato alcun limite,  è' dolce di quella dolcezza che non è smanceria o bamboleggiamento, ma dono dello spirito.
Attila la guarda e la ascolta con la faccia di chi non sa cosa gli stia capitando.
Lui, che ha passato gli ultimi due anni a dirsi "innamorato" della prima della classe, scambiando ammirazione e divertimento intellettuale per una cotta, siede accanto a questa nuova amica mentre intorno impazza la festa dei saluti.
Sussurrano.
Mi ha confidato, giorni fa, che lei si è dichiarata mettendo le mani avanti: mi piaci, ma so che non ti piaccio, non te ne devi preoccupare.
E lui è rimasto così, senza parole, lusingato, stupito, confuso, invaso da un mondo di sensazioni, emozioni, forse fantasie a cui non sa dare un nome e nemmeno trovare un posto.
Nessuno dei due, veramente, sembra avere idea di quello che stanno provando, a nessuno dei due, direi, importa granchè, di sicuro nessuno dei due è arrivato a pensare che quelle sensazioni, quelle emozioni, potrebbero portare a qualcosa di diverso, più concreto, di qualche frase sussurrata, forse di qualche complimento.
C'è il futuro per quello.
Lunghi anni a venire.
Ora ci sono solo due bambini, una notte stellata, il canto delle cicale, l'estate intorno, una promessa del corpo e dell'anima.
E quattro genitori, invasi da un'enorme tenerezza

mercoledì 21 giugno 2017

La nonna ed i suoi nipoti

La loro nonna è piccola e bianca come si conviene ad una nonna, ma questo è tutto ciò che concede all'iconografia.
La loro nonna ha braccia muscolose e fisico scattante, occhi svegli e sorrisi pronti, tenerezze e concessioni infinite, ma detta limiti ben precisi e insuperabili.
Non c'è niente che ritenga imperdonabile, inescusabile o ingiustificabile se l'hanno fatto loro, ma giudica sbagliate un sacco di cose e non si fa scrupolo se deve rimetterli in riga.
Si commuove davanti alle pagelle e con quei lucciconi ne impegna uno a leggerle, anche d'estate, Geronimo Stilton  e l'altro a rinfrescarle le regioni d'Italia.
E' una strega la loro nonna, anche se loro ancora non lo sanno.
Vince facile, perchè fa le battaglie con le spade di star wars ed i fucili ad acqua e, solo poi, si lamenta che le verrà l'artrosi per l'umidità; perchè dichiara che quelle della sua età se cadono si rompono, ma poi gioca a pallone; perchè prepara per loro il brodo anche con 40 gradi all'ombra, non contempla uno spicchio di mela senza una mollichina di parmigiano ed è convinta che la gelateria sia il posto migliore in cui fermarsi alle cinque del pomeriggio.
Se è triste, sorride lo stesso e guarda al futuro con una caparbietà che le ha insegnato la sua mamma.
I suoi nipoti sono sempre più grandi, più alti, più indipendenti e lo sguardo di adorazione e impazienza che le riservano è sempre più bello.
Uno prende ancora la rincorsa per abbracciarla e le riempie di baci la pancia, le invade la casa con i lego che, dalla cesta, rovescia immancabilmente sul tavolo di cucina, la rintrona di chiacchiere.
L'altro, è più misurato, meno fisico, il bambino che viveva di contatti, sta lasciando il posto al ragazzo, ogni tanto però le si acciambella addosso, le sussurra segreti, le regala una tenerezza ritrosa che lei accoglie come una cosa preziosa.
La cercano i suoi nipoti e se un giorno non la vedono, il successivo vogliono andare a trovarla.
Si mancano a vicenda
Si vogliono quel bene che viene dal conoscersi, dallo stare insieme, dal sopportarsi e dall'apprezarsi.
E' un privilegio potersi sedere a guardarli


lunedì 19 giugno 2017

Jus soli

All'università ti hanno insegnato che ci sono due modi per attribuire una cittadinanza e, nel mezzo un sacco di varianti, eccezioni e aggiustamenti.
I due modi sono banali: sei cittadino dello stato in cui nasci e importa nulla da dove arrivavano quelli
che ti hanno fatto, oppure sei cittadino del posto da cui sono arrivati i tuoi genitori è importa nulla dove, per caso o volontà, ti hanno scodellato.
Noi siamo sempre stati emigranti, ci portassimo dietro polenta o tinniruma, il rimpianto dei monti, del mare o di entrambi, bestemmiassimo la fame con un dialetto o con l'altro; quindi scegliemmo la seconda opzione chè tanto dove andavamo facevamo comodo e ci avrebbero preso lo stesso ed anzi, l'idea avessimo un posto cui tornare consentiva di trattarci come troppo spesso ora noi trattiamo altri.
Male.
Io non credo sia un male, sono una donna di tradizioni e radici e non mi disturba avere d'intorno italiani che dell'Italia sanno meno di niente.
Però qualche mese fa ho fatto lezione sulla costituzione in quinta ed ho provato imbarazzo guardando negli occhi Giulia e Jasmine, Samuele e Indrit, un imbarazzo che, non avevo con Lorenzo e Michela, con Corso e Ginevra, ma neanche con Jun, Kai, Sean e Honey.
Non l'avevo perché loro sono italiani, solo italiani o anche italiani, questo non importa, nessuno potrà loro togliere il posto che hanno sempre chiamato casa, dire che i costituenti non parlavano loro o che studiano una storia cui non appartengono.
Senza Samuele la squadra di calcio non avrebbe il suo portiere, senza Jasmine, il prossimo anno, non avremmo la più  promettente pianista della scuola, senza Giulia nessuno sospirerebbe dietro ad Attila ed  Indrit non potrebbe smentire un sacco di luoghi comuni ogni volta che strascica la c.
Non è una questione di risorse, di impegno o di giustizia, è banalmente un dato di fatto, questi ragazzi sono identici ai nostri, non meglio, non peggio: uguali sputati.
Questi sono i nostri bambini.
E se c'è una cosa di cui vado fiera del mio piccolo mondo è che, per quanto ci provi, se lo racconti, sia gretto e meschino, pettegolo e parolaio, è anche abituato a guardare le cose per come sono e le persone in faccia.
Con i miei nonni hanno fatto cosi

martedì 13 giugno 2017

Mode, giornali ed esposti in Italia

NB: non è mia intenzione negare l'esistenza di problemi, sminuire tragedie, fingere di vivere in un qualche meraviglioso paradiso di virtù che non ha patria su questo pianeta.
Questa è solo una mia considerazione sulla tendenza a seguire le mode e sulle mode giornalistiche italiche.
Se dovesse ancora servire, ricordo che sono sarcastica d'indole e cinica di impostazione.
***
 Ho un cliente che di mestiere fa il giornalista e nei giorni scorsi ha ricevuto un'incolpazione dal suo consiglio di disciplina perchè gli hanno fatto un esposto.
Nell'esposto (e quindi nell'incolpazione) gli si contesta di avere violato le regole deontologiche della sua professione pubblicando una notizia di cronaca relativa ad un minore in modo tale da solleticare azioni emulative e da renderlo riconoscibile.
Il tipo, semplicemente, non è il tipo.
E, anche se fosse non potrebbe permetterselo chè lui scrive una pubblicazione più che locale, dalle mura di Firenze a quelle di Siena; se c'è una cosa che non può rischiare è di fare male alla gente che è contemporaneamente la sua fonte ed il suo pubblico.
Chiuderebbe e rimedierebbe anche qualche ceffone.
Infatti l'esposto non glielo ha fatto la famiglia, ma una collega che lui dice gelosa.
Siccome il mio lavoro, spesso, è capire, gli ho chiesto perchè abbia scritto quell'articolo, uscito a distanza di giorni dai fatti, quando la notizia era già più che nota e quasi digerita; mi ha risposto che un settimanale cartaceo suo concorrente aveva parlato di bullismo e questo cambiava le cose; non scrive di atti di autolesionismo, mai, perchè sono atti privati, ma se la causa ha rilevanza sociale, allora c'è dovere di cronaca
"E anche una delle tre famose S che fanno vendere i giornali", ho pensato malignamente io che ho, però, solo cortesemente chiesto: "l'articolo però il bullismo lo nega, quindi?"
Quindi, prima di scrivere anche solo il titolo, il "ligio professionista" ha chiesto conferma al maresciallo dei carabinieri di zona e questo non solo gli ha detto "ma de chè?" lo ha anche pregato di sputtanare gli sciacalli che stavano facendo sorgere dubbi sul tessuto scolastico e sociale di una piccola comunità, un paesino dove i ragazzi sono pochi e si conoscono tutti e le paure fanno presto ad amplificarsi di orecchio in orecchio.
Ora io dico: il bullismo esiste e va combattuto, ma è anche certo che quest'anno va di moda come e più dei fidget spinner tanto che, insieme a quello vero, tutti ne hanno anche di quelli presi dai cinesi. Le cose tarocche, lo sanno tutti, costano la metà e sono pure più interessanti.
Sulle mode giornalistiche italiche ci sarebbe da scrivere enciclopedie: ci sono stati i morti sulla strada e pareva di stare sul Carso nel '15-'18, c'è stata la meningite e pareva la peste del Boccaccio, ci sono stati i neonati abbandonati e sembravamo tutti Erode (e anche lui poveraccio, quanta cattiva stampa!), poi, improvvisamente, nessuno si è più sfracellato ubriaco il sabato sera, nessuno si è più sentito male e tutti i bambini sono tornati felici e amati.
Mah!
Ora ci sono il bullismo ed il femminicidio.
Bono anche quello!
Sembriamo tutti Barbablu.
Poi leggi le statistiche e scopri che abbiamo le stesse statistiche del Giappone. 138 donne uccise nel 2016 su un totale di 398 omicidi volontari, una percentuale per 100.000 abitanti (0,66) sotto tutte le medie.
Sia chiaro sono sempre troppi, 1 è troppo, ma l'emergenza non c'è, ci sarebbe da lavorare sulla quotidianità.
Quindi, in fondo, volevo capire, ma tutti questi iscritti a scienze della comunicazione, di preciso, che studiano?

lunedì 15 maggio 2017

Il buco

Sono passate ormai tre settimane.
La vita è, più o meno, ripresa.
La mia mamma nasconde la sua pena nella mille cose che ha sempre fatto, comincia a lamentarsi delle troppe telefonate serali che le fanno amici e parenti, si rifiuta di venire a pranzo o a cena da noi.
Si scioglie, però, quando Totila le chiede se una sera può dormire da lei così le tiene compagnia sgranandole in faccia quegli occhi tanto simili e quel sorriso malizioso, in bilico tra il ti-voglio-tanto-bene ed il ti-sfotto-troppo.
Io sto bene.
Non lascio che l'emozione passi il muro.
Penso alle cose da fare, ai bambini, al marito.
Giro a vuoto.
Affastello.
Abbiamo festeggiato i compleanni con le abituali feste in giardino, ho cucinato un po' meno del solito, ma, per una volta, ho fatto le torte per le candeline proprio come le volevano loro.
Torte da cartone animato o da telefilm, una con tanti strati di pan di spagna (una noia fare il pan di Spagna e stare lì a vedere se gonfia!) e composta di frutti di bosco, rivestita di panna montata e guarnita con frutti freschi, l'altra, identica nelle dimensioni, farcita di mousse al cioccolato e coperta di ganache.
Sono venute bene.
Io non le ho toccate.
Non le avrebbe mangiate neanche lui.
Quando sono così alte e inzuppate di roba, fanno tanto pastone per cani, mi avrebbe detto.
Avrebbe anche controllato le bevande sul tavolo e non avrebbe mancato di farmi notare che metto sempre troppo poco vino, che si, va bene, sono feste per bambini, ma ai genitori bisogna pensare: se stanno bene loro, è più facile anche per i piccoli.
Gli ho portato le rose del giardino, le inglesi dai mille petali che nascono rosa e finiscono bianchi. Non hanno profumo, non sono come quelle rosse che gli piacevano, proprio non sanno di rosa
Insomma, niente, sto bene, ma ho un buco.
Mi dicono che ci vorrà un po', ma non so se è vero.
Se mi va bene, finirà che ci farò meno caso

martedì 2 maggio 2017

la telefonata

Alla fine la telefonata è arrivata.
E' arrivata quando meno te lo aspettavi.
Dopo qualche giorno al mare che aveva il sapore di una forca, ma fatta quando non erano previsti compiti o interrogazioni.
Dopo un giro allo Stibbert ed un pomeriggio al Piazzale tra il giardino degli Iris e quello delle rose.
Dopo un 25 aprile di sole e di amici, come dovrebbe essere.
E' arrivata mentre ti preparavi ad affrontare robe noiose, quelle che vigliaccamente posticipi finchè puoi e anche un po' dopo.
E' stato completamente diverso da quello che aspettavi, per certi versi meno terribile, per altri mostruoso, perchè, folle che sia dirlo, completamente inatteso.
Ti ha chiamato la dottoressa di famiglia, tua madre non era in grado, urlava, isterica, mentre aspettavano il 118.
Ti ha portato lui, non saresti stata in grado di guidare, perchè lo sapevi che, questa volta, il solito mantra non sarebbe servito.
Tua madre non urla e, soprattutto, non è donna da reazioni isteriche.
Lo hai trovato a letto, nel suo letto, nella sua casa che amava tanto.
E lì hai fatto in modo che restasse.
E' stata una consolazione, per quanto misera e magra
Così come è stato di grande aiuto che tanti abbiano scelto di passare a salutare, di farsi sentire in qualche modo.
La chiesa piena.
I vicini, i volontari della casa del popolo, il gruppo della pesca, i fungaioli.
Gli amici del mare
I colleghi lasciati più di vent'anni fa.
I parenti dalla Romagna.
I tuoi colleghi.
I tuoi amici, dall'asilo in giù
Tante mamme e persino alcuni compagni di scuola di Attila
Persino l'equipe che lo aveva in cura
Si certo, fosse un altro momento, diresti che per molti è stato il senso del dovere, dell'educazione, forse del rispetto, quel filo ipocrita che lega le comunità.
In questo momento però il cinismo ti fa difetto e ti ritrovi a pensare che è bello anche così, va bene il rispetto, l'educazione, il dovere di essere, anche per un attimo e forse un po' di malavoglia, vicino.
In tutto questo, nel dolore che ancora non senti appieno, perchè non hai ancora smesso di girare e di brigare, o meglio perchè hai paura di smettere, ci sono state la parole di Attila.
Il tuo ragazzo in bilico, volato sull'altare prima che poteste fermarlo, agghiacciato dal mare di facce rivolte verso di lui che, nonostante tutto, ha detto la vera e sola cosa che conta nella vita:
Ci voleva tanto bene, gli volevamo tanto bene

mercoledì 19 aprile 2017

Apparenze. Perchè non ne posso più di sentirmi dire che non sono un buon metro di giudizio


Avessi un euro per tutte le volte in cui mi è stato detto che non si deve giudicare dalle apparenze, che l'apparenza inganna, che bisogna guardare all'essenza e non al resto, potrei azzerare il deficit di diversi paesi oltre al nostro (tranquilli, non lo farei mai, i soldi non si buttano).

Dice che è da superficiali giudicare dalle apparenze.
Perchè quelli profondi che hanno? un libretto delle istruzioni ad hoc? Leggono la mente? Hanno capacità divinatorie precluse ai più? C'è un qualche padreterno che dà loro delle dritte? cosa? 
E soprattutto, perchè io no? 
Perchè l'unico strumento che mi è toccato in dotazione è quello, molto faticoso e soprattutto troppo fallace, di osservare il prossimo se voglio capire che prossimo è?
Io so solo fare questo.
So guardare come si presenta al mondo, come si veste e si acconcia , come si muove e parla, come usa, se usa, certi strumenti, come si pone in relazione a ciò che lo circonda e so ascoltare le parole che sceglie, come cambiano, se cambiano, con chi si esprime in un modo e con chi in un altro, come reagisce quando è lui ad ascoltare, se ascolta e come. So (almeno ci provo) osservare come si muove nei ruoli che la vita gli ha assegnato, nelle sue funzioni, se li indossa come armature o come magliette, se ogni tanto se li sfila o se gli restano appiccicati addosso come la tuta di superman e poi se deve andare in bagno di fretta sono dolori.
Sbaglio. Tanto.
Mi salva solo (quando mi salva) il considerare ogni opinione solo e soltanto temporanea, mai definitiva.
Eppure, per quanto trovi che è un strumento misero il mio, non riesco a condividerla questa idea romantico - platonica per cui l'apparenza è una roba da sciocchini,  una "realtà inferiore" cui si interessano solo quelli che non hanno accesso alla verità delle "idee e delle essenze".
Mi sembra invece evidente che ognuno di noi, tolti i momenti in cui è più solo con la sua intimità (e solo se è davvero sincero), è insieme una persona e la sua immagine; quell'immagine che egli stesso costruisce per il mondo offrendosi al suo sguardo e, spera, al suo apprezzamento. 
Insomma, mi sembra una considerazione fin troppo banale quella secondo la quale nessuno ha un accesso immediato al mondo interiore altrui, nemmeno a quello di coloro che più sente vicini, esattamente come nessuno riesce a svelarsi agli altri, nemmeno alle persone più care, senza passare attraverso la mediazione dell'apparenza. Quindi non capisco in base a cosa dovrei giudicare.
Certo, uno può sempre dire che giudicare è in sè sbagliato.
E' un'altra affermazione molto di moda, da gente cui piace definirsi aperta e sensibile.
Fortunatamente per me, io non ho di queste velleità e così posso permettermi di pensare che giudicare sia fondamentale: solo giudicando infatti si conosce, solo giudicando si cresce, progredisce e, in definitiva, si vive.
Cosa è in fondo l'azione del giudicare se non quella di scegliere?
Il punto, secondo me, non è giudicare o meno dalle apparenze, quello è inevitabile; il punto è la cura, l'attenzione, l'impegno che si mette nell'indagare l'apparenza chè se mi basta vedere una persona vestita firmata per pensare che sia ricca, non sono le apparenze che mi ingannano (birbone), sono io che ho problemi col sistema logico - deduttivo.

Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze.

Il vero mistero del mondo è il visibile, non l'invisibile

O. Wilde. Il ritratto di Dorian Gray

mercoledì 12 aprile 2017

Egoismo. Una riflessione, una definizione

Mi sono un po' guardata intorno in questi giorni e, siccome ormai è certo che, quella davvero birbona nella nostra famiglia sono io, ho fatto una riflessione.
La riflessione è questa: non è vero che l'egoista è colui che pretende di vivere la sua vita secondo i suoi desideri, i suoi principi, le sue aspirazioni o anche solo i suoi capricci.
Quello può essere uno insensibile, uno arido, uno privo di empatia o anche solo uno fatto ad immagine e somiglianza di un escremento di alano, ma queste considerazioni arrivano dopo e non attengono all'egoismo come categoria dello spirito.
La mia personale definizione di egoista è quindi completamente diversa.
Egoista, per me, non è chi vuole vivere come gli pare, è chi vuole che altri vivano la loro vita secondo i suoi desideri,  assecondando le sue aspirazioni, seguendo i suoi principi.
E poichè la nostra non è altro che una vita di relazioni e tutti, consciamente o inconsciamente, influenziamo con le nostre scelte quelle degli altri, questa è la ragione per cui, quando si parla di egoismo, nessuno può tirarsi fuori, e l'unica differenza che si può osservare è quantitativa.
A meno di non avere sott'occhio un misantropo con la vocazione dell'anacoreta

mercoledì 5 aprile 2017

Ieri sera

Uscite dallo studio del dott C.
E' piovuto anche se non sai quando.
Sei cupa.
In realtà non dovresti, l'incontro è andato bene e lo studio potrebbe beneficiarne non poco, nel medio e soprattutto, si spera, nel lungo periodo.
Certo l'incarico non è tuo, ma di questo non ti importa.
Se c'è una cosa per cui vale la pena lavorare insieme è che le vittorie sono di tutti, le sconfitte anche e l'invidia non esiste.
Sei cupa perchè, discutendo d'altro, avete parlato anche di una posizione che conosci bene ed il parere, molto tecnico e molto netto, del dottore è stato chiaro.
Fallimento annunciato e, secondo lui, doloroso.
C'è un termine nel tuo dialetto per chiamare la gente che agisce come agiscono questi, gente che va allegramente verso il baratro, che non si tutela,  che continua a sprecare come se non avesse un pensiero al mondo, che si agita, che litiga, che chiede consiglio e poi fa come le pare, peggio, che chiede consiglio per poterti dare la colpa dei suoi errori.
Gente che distrugge un patrimonio di conoscenza, prima che di soldi, e che rimarrà col culo per terra mentre ghiaccia
E' un termine molto volgare, ma tu odi lo spreco.
Cammini con lo sguardo basso, osservi il velo d'acqua che si è creato qua e là, tra le intersezioni delle pietre, negli avvallamenti, e che aspetta compagnia, sperando di diventare pozzanghera.
Girate l'angolo, il profumo dell'enorme glicine che corre lungo il giardino del liceo Dante vi accoglie, ci prova a fartela passare, ma non sei ancora pronta per un sano e salutare chissenefrega, quindi non giri lo sguardo, non ti godi la vista di quella massa rosa-viola che, sempre, ti riempie di gioia.
Non puoi evitare però, di vedere due piedini che saltellano, come se giocassero a campana tra le fessure, cercano di fare schizzare almeno quel po' d'acqua, anche se è insufficiente, anche se sarebbe molto più divertente se solo fosse un po' di più.
Alzi lo sguardo senza pensare e ti ritrovi davanti una bambina ricciolina, ha occhi e bocca che ridono facendo a gara e due codine storte.
La guardi, ti guarda con uno sguardo che dice "scansati, sei sulla mia strada, se stai lì, non posso più saltare" e fai l'unica cosa sensata, ti scansi.
Sorridi
E' primavera

giovedì 23 marzo 2017

Perversioni edilizie

Mi piacciono le case.
Come, immagino, molte perversioni, la mia è cominciata in modo innocente.
Ero in attesa di una visita medica e tra le mille riviste sparse in sala d'attesa, c'era un AD.
Avrò avuto 13 - 14 anni, il medico era uno dei numerosi ginecologi che hanno funestato la mia prima adolescenza ed il salottino in cui la mia mamma ed io aspettavamo offriva solo giornaletti pieni di pettegolezzi patinati.
Mai potuti soffrire.
AD aveva una copertina bellissima: un prato verde all'inglese ospitava una villa classicheggiante, piena di vetrate e di luce.
Rasserenante.
Da allora non credo di avere mai smesso.
Ho comprato riviste, studiato progetti, immaginato spazi, sbavato su arredi e complementi, apprezzato la grazia di insiemi, anche di quelli che non erano di mio gusto, ma avevano un senso, un'idea.
Poi, esattamente come mi è capitato per i vestiti, la mia curiosità è passata dal patinato al quotidiano, dalla rivista alle case vere.
E così ho iniziato a disegnare piante e bozze in prospettiva (arando il foglio chè il mio proffe aveva ragione, mai avuto un problema con la regola, ma la mano non era adatta)
Ho perso tempo a scrutare le case di amici e parenti, cercandone i punti di forza e le cose da migliorare.
Ormai sono anni che mio marito trema tutte le volte che siamo in giro in posti dove non usano persiane e tapparelle, dice, il saggio, che non le usano perchè la gente non usa fissare le scelte domestiche altrui.
Io sono la dimostrazione vivente che invece hanno un senso, anzi, sono fondamentali se non vuoi rischiare che qualcuno decida di dare un'occhiata al tuo salotto in barba alla buona educazione ed al rispetto dell'altrui riservatezza
Ora ho scoperto che esiste un canale televisivo in cui ci si occupa solo di case.
Case normali, in condominio, appartamenti uguali, resi diversi dal gusto e dalle esigenze dei proprietari.
Case frutto di progetti modernissimi o di ristrutturazioni importanti.
Case storiche, veri e propri gioielli del passato, aperti per la vanità dei proprietari.
Mini appartamenti con soluzioni ingegnose
Insomma case.
I miei tre maschi non si capacitano.
Io ho già un sacco di idee,
E' vero che il muratore se ne è andato da poco, ma sono tante le cosine che possiamo fare anche da soli.
Tipo un'area coperta per le grigliate




mercoledì 15 marzo 2017

Amica

La mia amica Ila è reduce da un lutto.
A dirla come sta davvero, la mia amica Ila è reduce dalla liberazione che è, a volte, un lutto.
Sta combattendo con  la perdita che è finalmente arrivata, con il dolore che comporta e con quello, molto più subdolo, che deriva dal sollievo per la fine di una situazione che si è protratta per anni.
Non tutti hanno la fortuna di una morte rapida, alcuni si spengono lentissimamente, dopo essersene andati anni prima, gusci apparentemente vuoti, menti apparentemente lontane.
Noi ci capiamo senza tanti discorsi.
Ci vogliamo quel bene che passa dai sorrisi e dagli abbracci.
Misuriamo le parole per una sola ragione: quello che diciamo è importante, il come spesso determinante; siamo oltre l'educazione, ed il rispetto lo dobbiamo al sentimento che ci lega più che alle persone che siamo.
Lei sa delle mie dolcezze nascoste, io delle sue, altrettanto nascoste, cattiverie, entrambe siamo consapevoli che sono segreti da custodire con cura, negandone l'esistenza fino alla morte.
Suo marito, dopo il funerale, ci ha detto che è bello vedere due amiche invecchiare così, che le ragazzine che siamo state si vedono ancora dietro al resto che si è aggiunto.
Sapesse.
Ha scelto bene la mia amica.
Tanto bene che lui, dopo tutto quello che hanno passato, l'ha messa davanti al fatto compiuto e l'ha portata via per una piccola vacanza.
Ieri ci siamo viste al volo, sono tornati e lei doveva darmi una cosa che ha preso per me.
Scarto il pacchetto oltremodo fiorelloso e trovo una borsa di tela, quelle borse che danno ai convegni, begiolina,  anonima.
"Girala" mi dice.
Giro e che c'è scritto?
I love mr Darcy
Sghignazza.
Devo andare a casa dei miei a recuperare il libro
Ma soprattutto, ci staranno i fascicoli?

lunedì 13 marzo 2017

Costituzione, costituzio'

"Verrebbe per un approfondimento sulla costituzione?" mi aveva chiesto all'inizio dell'anno la maestra di Attila.
Avevo accettato, emozionata come se mi avessero proposto di tenere una conferenza alle Nazioni Unite
Il preside, poi, mi aveva incastrato a beneficio di tutte le quinte.
Ci tiene tanto, lui.
L'idea di spiegare la costituzione ai bambini era bellina.
Tutte quelle testoline curiose, magari insofferenti o magari affascinate dal concetto di potere, sovranità, Stato, Paese; qualcuno, immaginavo, perso dietro alla democrazia ateniese e alla res publica romana, qualcun'altro reso cinico dai telegiornali.
Insomma, bellino.
139 articoli sono tanti però.
Come glielo spieghi l'ordinamento della Repubblica ai bambini? come funziona la Corte Costituzionale, il CSM, la potestà legislativa concorrente Stato - Regioni?
Ho avuto una vertigine e ho chiesto uno sconto
Ci siamo messi d'accordo per i primi 12 articoli, i principi fondamentali, il cuore del cuore della carta.
Pensavo di vincere facile.
Già.
Poi ho preso in mano l'articolo 1.
"L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro"
E mi è tornato in mente il povero professor Barile che confessava di sbattere la testa contro il muro tutte le volte che doveva spiegare il concetto di repubblica "fondata sul lavoro".
Se non sapeva come farlo lui a degli studenti universitari, come potevo pretendere di farlo io a gente di 10 anni?
E senza battutacce?
Glielo potevo dire che i costituenti si sono scannanti sul riferimento al lavoro: come dove e perchè?
Non va bene nemmeno glissare però, la costituzione non è un monolite, non è la tavola delle leggi discesa dal Sinai con Mosè (e anche su quelle io un paio di dubbi li avrei).
Nessuna costituzione lo è.
Calamandrei diceva che è una macchina: le serve carburante.
E il carburante è l'impegno di tutti.
Uhm
Insomma.
Me la sono cavata.
Ho mostrato l'emblema ed il suo simbolismo, spiegato la genesi della bandiera, illustrato il concetto di democrazia indiretta, accennato alle autonomie locali e all'unitarietà del Paese, detto della tutela delle minoranze linguistiche (rafforzata per i bolzanini dal trattato internazionale), mi sono dilungata sulla tutela dell'ambiente che in costituzione abbiamo solo noi (e sul fatto che nessuno ci batte sull'elaborazione teorica, sono i decreti d'attuazione che ci fregano. Non c'è nulla da fare, finito di ragionare, ci passa la voglia, e a fare ci pensiamo sempre un qualche domani) e del patrimonio artistico e storico (in loco. Il che ci rende il paese che siamo e moltiplica le difficoltà, altrove, ho detto, hanno fatto i "musei della nazione" e se la sono risolta, ma qui, ci devi solo provare a togliere un quadro da una chiesa e poi vedi come ti ritrovi).
Insomma, ho fatto quelli facili.
La prossima volta mi tocca l'art 3.
O spiegagliela l'uguaglianza formale e quella sostanziale

giovedì 9 marzo 2017

festa della donna

Ieri era la festa della donna.
Da ragazzina, sbattevo la testa contro il muro tutte le volte che arrivava la "festa" della donna.
Ero una ragazzina molto politicizzata e per me il termine festa era un insulto: solo la commemorazione della tragedia avrebbe avuto senso.
Alla commemorazione poi, doveva seguire un lungo e pensoso dibattito sul patriarcato come fonte di tutti i mali e sullo sfruttamento delle donne in ogni ambito della società.
Ammetto che, crescendo, le feste nei locali non mi aiutarono troppo a riconciliarmi con l'occasione.
Ci deve essere qualcosa che non va in me, perchè l'idea di vedere uno (o più) ridursi ad oggetto sessuale esattamente come si assumeva capitasse a tante, non mi faceva sentire più ganza del solito.
Mai capito perchè un culo di femmina fosse da schifare e uno di maschio fosse un passo verso il futuro.
Può darsi che non abbia mai trovato il sedere giusto.
Però giuro che la vista non mi ha mai disturbato, è il passo avanti che non sono mai riuscita a capire.
Comunque.
Sono sempre stata fermamente convinta che avrei potuto fare qualsiasi cosa avessi desiderato e molto pugnace con chi cercava di suggerire il contrario.
In fondo gli anni della mia infanzia sono stati anni di grande fermento.
Nel mio caso poi, penso abbia aiutato molto il fatto che mio padre mi ha cresciuto come una principessa.
Quella di The Brave però.
Ora che sono una signora di mezza età con un lavoro, una famiglia e dei figli (maschi) a carico, sono arrivata alla conclusione che la strada è lunghissima ed impervia e le chiacchiere stanno a zero.
Non ne posso più di dibattiti ed iniziative simboliche, di uomini che si sgolano nel dire che "le donne sono meglio" (non è vero tra l'altro) e di donne che si piangono addosso quando sono le prime a lasciare stare e rinunciare se c'è da caricare la lavatrice o battere i pugni su un tavolo e pretendere.
Ora, ancora più di prima e di sempre, penso che ci sia solo una possibilità e mi tocca dirla con le parole di un uomo:
"sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo"
O ammetti che non ti importa abbastanza


lunedì 27 febbraio 2017

Varie

In questi giorni di silenzio sono successe tante cose.
- Il babbo è di nuovo a casa e la ASL ha arrangiato un sistema di controlli domiciliari che dovrebbe (il condizionale è d'obbligo) impedire ricoveri d'urgenza per squilibri non diversamente trattabili.
La nostra dottoressa è molto cauta, naturalmente è molto bello che, ai prelievi, si aggiungano all'occorrenza anche certe somministrazioni assistite, ma non ci vuole una laurea in medicina per capire che il problema non è l'infermiere che fa la flebo e sta lì a vederla passare.
Il problema è che se la pressione è sotto i piedi e si rischia un collasso, mentre la flebo passa, ci vuole il cardiologo, il defibrillatore e tutto il resto dell'ambaradan.
- Sono stata a due funerali e aspetto, da un momento all'altro, che mi arrivi un messaggio per il prossimo.
Prima è, meglio è.
Anche se non posso pensare a chi resta.
- Sono stata anche a due feste di carnevale in due piazze.
I bambini si sono molto divertiti, io avrei preferito che offrissero superalcolici ai genitori come segno di tangibile, umana, comprensione.
- Ho parlato con una signora, più anziana della mia mamma, che ha deciso di separarsi. E' scappata letteralmente di casa perchè il marito l'ha picchiata. Mi ha detto che gli è stata diagnosticata da poco una malattia degenerativa ed io, da stupida superficiale, ho immaginato che quella fosse la causa della violenza. La signora, sotto lo sguardo decisamente irritato della figlia, ha però aggiunto che non era la prima volta e che in cinquanta anni di matrimonio, i ceffoni sono volati.
 Ho iniziato un colloquio, pensando con tenerezza ad una coppia di vecchi immersi in chissà che litigio, magari recuperabile in nome dei vecchi tempi, e ne sono uscita, mormorando un prosaico "meglio tardi che mai".
Ci sono errori e condizionamenti dai quali, nonostante gli sforzi, non riesco proprio a liberarmi




giovedì 9 febbraio 2017

la cosa che fa più male

La cosa che fa più male sono due.
Nessuna di queste è la corsa verso l'ospedale col consueto groppo alla coda e il pensiero fisso: fatemelo-trovare-vivo, fatemelo-trovare-vivo.
La cosa che fa più male è tua madre su una sedia, piegata e con lo sguardo vuoto che, appena ti vede, ti viene incontro camminando da vecchia e ti dice: "ce l'abbiamo fatta anche questa volta, pare, mi hanno detto che si è ripreso"
E la faccia delle tue amiche, i loro occhi.
Glielo hai detto: hai deciso che piangerai tutto insieme.
Poi.
E non sai se ti compatiscono per quello che succede o per questo, per questa caparbia incapacità di lasciare andare che hai già provato troppe volte.

giovedì 2 febbraio 2017

Femminismi minimi, traslati, forse sbagliati

1.
Come sanno anche i sassi (o dovrebbero), è offerta alle bambine nell'undicesimo anno di età la possibilità di sottoporsi gratuitamente a vaccinazione contro il papilloma virus.
E' robaccia il papilloma virus, i tumori al collo dell'utero sono responsabilità sua, per dire, insieme a tutta un'altra serie di cosine che se non le prendi è meglio.
Il Ministero della Sanità è lì che ponza e, dice, vorrebbe estendere la possibilità anche ai maschietti (entro il quindicesimo anno, perchè è d'accordo con mia nonna e sa che i maschi ci arrivano sempre dopo).
Nel frattempo qui si può fare a un prezzo popolare.
Attila compie 11 anni a marzo.
Se ce lo "passano" bene, altrimenti pagheremo il ticket.
Mi sono informata, il papilloma tendenzialmente ce l'ha con le femmine. Può essere che se ne stia lì inerte e non si fili nessuno, ma se si sveglia, probabilmente se la rifa con una lei.
Però è responsabile anche di un po' di tumori maschili, rari, e di altra roba spiacevole.
Io sono femminista.
E ho due maschi.
Sono pronta a sopportare con stoicismo tutte le critiche e le accuse di quelle per le quali, tutti i difetti dei loro uomini (o degli uomini in genere), dipendono dalla mamma.
Ma non potrei sopportare l'idea di aver permesso loro di "ungere" le poche o tante compagne con questo mostriciattolo.
Una punturina e passa la paura.
2.
Immagino che tutti abbiano avuto sott'occhio l'educazione, lo stile e la galante cortesia di Trump verso la moglie.
Bon.
C'è poco da dire.
JFK non riusciva a tenere i pantaloni abbottonati neanche mezz'ora, ma tutti si ricordano la (paraculissima) frase a favore di Jackie durante la visita di stato in Europa.
Altra forma, ecco (e non intendo meglio, intendo altra)
Però, c'è un però.
Mi sono arrivate sott'occhio un sacco di battute e battutacce sulla "povera" Melania e mi hanno dato noia.
Parecchia.
Un po' mi ha anche dato fastidio che mi desse noia, chè le battutacce sono il sale della vita.
Il fatto è, prima di tutto, emotivo, perchè tutte quelle (tutte donne) che le hanno fatte (o condivise) con me, non hanno idea di cosa significhi prendersi tanti cazzotti, finire per terra ed essere prese a calci, ricevere sputi in faccia, essere costrette a mangiare dopo, gli avanzi, in garage.
Essere calpestate, derise, umiliate, anche dai figli che vengono "convinti".
Nessuna, io per prima, hanno idea di cosa voglia dire arrivare a pensare che sia giusto, di non valere niente, di dovere solo tacere ed ubbidire.
Subire.
Ci sono donne che passano per queste esperienze, e non è detto che siano stupide o deboli.
Io ne vedo una in questi giorni e non lo è affatto.
Ecco perchè l'ho trovato intollerabile.
Ma messa un po' da parte questa emotività, l'ho trovato fastidioso perchè era un atteggiamento paternalistico, profondamente maschilista e, anche, deleterio.
Diciamocela intera, magari a lei piace. O non le dispiace abbastanza perchè sul piatto c'è, e pesa, anche qualcosa che le piace tanto da farle sopportare il resto.
Saranno anche fatti suoi o no?
C'è gente che firma contratti (accordi meglio) in cui c'è scritto che uno/a lo/a può portare in giro con un guinzaglio e la museruola.
Giuro che c'è una sentenza sull'addebto in cui si prende in esame un accordo di questo tipo per concludere che non c'è lesione alla dignità se piaceva e non sono stati superati i limiti pattuiti  (io voglio conoscere il collega che ha prodotto un simile accordo, ma quella è la mia perversione)
E se non fosse, queste battute dovrebbero salvarla?
Ma davvero?
O possono solo danneggiare una persona che davvero sia in difficoltà e incattivire chi la vessa?
Non solo. Chi la dovrebbe salvare e come?
E' scema, inetta, ha bisogno di un qualche principe azzurro?
Nel caso, la sola cosa che mi viene in mente è che  può telefonare all'Ivana. Quella che, a suo tempo, al buon Donald sfilò metà patrimonio con un divorzio che fece storia
Insomma, sono passati decenni e siamo ancora qui a dire che se una sta con uno, che è o pare, stronzo, è perchè ha bisogno di aiuto
La strada è davvero lunga, stretta e piena di curve a gomito
3.
L'altro ieri mi è capitato sott'occhio un articolo dell'Huffington Post Italia, una roba tradotta non so più da quale altra edizione, di quelli che ti rimettono in pari con i giornali italiani (un miracolo, in pratica)
Comunque, si parlava di una che per un tot periodo di tempo era andata al lavoro in un ufficio vestita da uomo.
E ne aveva trovato giovamento.
Aveva trovato che un completo maschile formale fosse estremamente comodo.
Buon per lei.
Personalmente non mi annoderei al collo una cravatta se non fossi costretta, ma se a lei piace, chi sono io per criticare?
Io compro scarpe da teatro.
Non posso esprimermi sul concetto di comodità altrui.
Il fatto è che dall'esperienza personale se ne ricavava un pippotto sull'abbigliamento femminile.
Ora, io non lo conosco il dress code del suo ufficio (ma non deve essere tanto stringente, ad occhio), però mi viene in mente tanto di meglio ed altrettanto adeguato.
Sarà che siamo in Italia e non si rischia il contempt of court nemmeno con i jeans, però, ecco, col cavolo che io scatenerei l'inferno e tirerei in ballo discriminazioni sessuali per vincere il diritto di andare al lavoro in giacca e cravatta a luglio quando mi infilo un vestitino di cotone e sono a posto.
Idem per la depilazione, il trucco, le scarpe ed il resto.
Ripeto, saranno altri mondi, ma io frequento un posto dove girano migliaia di persone ogni giorno ed è richiesto un minimo di abbigliamento formale, eppure c'è di tutto: dal tacco alto alla ballerina, dal trucco perfetto al niente trucco, a Moira Orfei con la mano pesante, dal tailleur al maglioncino.
E' davvero necessario scimmiottare gli uomini per stare comode?
E soprattutto sarebbe questa la parità?
Tutte le volte che vengono fuori questi discorsi, non riesco a non pensare ai baffoni di Frida Kahlo, una che di certo non si faceva troppi problemi.
O alle storie degli anni '50 in cui o eri bella o eri intelligente.
Ma siamo sicuri che il conformismo che critichiamo, non siamo noi a imporcelo e, ancora peggio, a criticarlo negli altri?
Sarà che a me gli uomini brutti e sciatti non piacciono e quindi fatico persino a vederlo tutto questo sforzo imposto solo alle donne e solo dall'esterno.



venerdì 20 gennaio 2017

Scelte conto terzi, equilibrio vita personale - vita professionale, razionalizzazioni. In una parola: fifa

Siamo alle porte co' i sassi ( per il resto del mondo: dobbiamo affrettarci).
Attila deve essere iscritto alle medie entro i primi di febbraio.
Abbiamo fatto una valutazione di massima e poi ce lo siamo portati dietro a vederne tre che potrebbero essere papabili.
A dire il vero le papabili sono due, ma una io dovevo vederla perchè è una bellissima villa medicea, perchè ci ha studiato l'ultima regina d'Italia e perchè non è normalmente accessibile al pubblico (e io sono il tipo che potrebbe fingersi aspirante cardinale per curiosare un concistoro).
C'è poi il fatto che ha ottime strutture e offre come seconda lingua il tedesco con insegnamento di altre materie curriculari nell'idioma di Goethe.
Insuperabili erano però le eccezioni sul fatto che, sebbene ora sia pubblica (ma il convitto c'è sempre), già ai miei tempi era il posto dei caconi, per di più di mezza tacca, e dei wannabe caconi di mezza tacca.
Un posto da ballo di fine anno col valzer, vestiti alla moda e professori comprensivi.
Io lo so, quelli dello scientifico facevano la maturità con noi, arrivavano con presentazioni da urlo e uscivano con voti nella media.
Amen
Le altre sono la scuola del paesello e quella attaccata allo studio.
Quest'ultima, ci siamo detti, sarebbe una buona scelta, è molto e bene attrezzata, partecipa ad un sacco di iniziative anche extracurriculari, ed è una scuola grande, dove nessuno ti conosce e non conosci nessuno, non si corre il rischio di avere a che fare con gli stessi ragazzini con cui scambiavi pennarelli bavosi a tre anni.
Significa però prendere un undicenne e tenerlo tra adulti per buona parte dei pomeriggi in cui non ha impegni. Dovrebbe starsene chiuso in uno studio professionale, dove le persone lavorano e lui sarebbe stretto tra l'alternativa compiti/computer. Diventerebbe difficile coltivare amicizie ed indipendenza. Vorrebbe dirlo allontanarlo dal luogo in cui vive e rischiare di non offrirgli alternative nel luogo in cui studia.
E' un prezzo alto per una buona scuola.
La scuola del paesello ha pregi e difetti: offre un buon laboratorio di informatica ed ha persino i suoi amati robottini da programmare, c'è il corso di nuoto durante le lezioni di motoria (ma le altre offrono tiro con l'arco e atletica agli Assi!), e quello di teatro; volendo potrebbe scegliere di frequentare una sezione musicale, studiare approfonditamente uno strumento e fare concerti in giro per le colline e laboratori in teatri veri.
La questione del gruppo troppo ristretto c'è, ma parrebbe essersi attenuata: in consiglio di istituto è passata la mia linea per cui, preso atto dell'unificazione dei plessi disposta dall'amministrazione (che finalmente l'ha smessa di pagare affitti vergognosi alla curia per un edificio indegno), i ragazzini dovrebbero essere assegnati alle sezioni secondo in criterio che non favorisca la provenienza dalla stessa primaria, ma faccia un bel rimescolamento generale.
Da un lato il paesello mi lascia perplessa.
Dall'altro, a portarlo via mi sento un po' un traditore della patria, anche se non sono un tipo tanto patriottico e sono più le arrabbiature per le cose non fatte che la soddisfazione per quelle che si sono realizzate.
Rimpiango il tempo in cui la scuola era quella, nessuno questionava, e se non eri bravo: scappellotti e zappa (nell'ordine).
Non era meglio, ma di certo era più semplice.
In tutto ciò, ci sarei anche io.
In studio le cose hanno preso una piega che non mi piace.
Un paio di colleghi con cui dividiamo gli spazi (ma non il lavoro) non hanno comportamenti che rientrano nei miei personali standard di correttezza.
Io sono un diesel di vecchia generazione, mio marito mi paragona spesso ad una di quelle macchine che scendevi a mettere in moto appena sveglio, poi risalivi in casa facevi la doccia, colazione, ti truccavi, stendevi la lavatrice e solo dopo potevi partire per la tua destinazione.
Anche in questo caso, ho iniziato con lo storcere la bocca e minimizzare e sto arrivando al punto di non ritorno.
L'altra mattina, mentre trascorrevo i miei tre quarti d'ora in macchina, mi si è accesa una spia ed ho capito che non voglio vivere così.
Mando e ricevo pec dalla cima delle Dolomiti, faccio depositi telematici da bordo piscina (ma magari!) e poi passo mezza giornata in macchina per andare in un luogo di lavoro che, ormai, non è vicino al palazzo di giustizia, è lontano da casa e non mi offre il bel clima che renderebbe le altre due circostanze irrilevanti.
Sono proprio una scema
Allora l'ho buttata lì:
- e se mandassimo Attila al paesello con la clausola che se non ci piace lo spostiamo poi?
- e se trovassimo uno studio, meno costoso e con forme di condivisione più impersonali, vicino al palazzo di giustizia (Dio che schifo!)
- e se lavorassimo di più dallo studio attaccato a casa che ora usiamo solo per le emergenze e i villici stanziali?
Questa settimana abbiamo fatto una prova (due giorni a casa lui, uno io) e abbiamo scoperto che potrebbe essere una buona idea.
Bella persino.
Già
Però io c'ho una fifa!
E se è una scelta del ...?

mercoledì 11 gennaio 2017

Il generale inverno

E' inverno e fa freddo.
Firmato Jacques de La Palice
Ora io lo so che è banale, però...
Però porca miseria non si fa ecco, non è educato, nè gentile.
Sono almeno tre anni che qua si gira serenamente con un cappotto aperto da dicembre a marzo, che i cappelli sono riservati solo a quelli convinti che la berretta doni (come gli Ugg) ed i guanti sono un vezzo.
Una si abitua, si illude persino.
Se poi, la poveretta, trascorre le vacanze di fine anno in montagna e la sola neve che incontra è quella giudiziosamente sparata sulla piste, perchè per il resto tocca cercare una buona scusa persino per bere un vin brulé, è chiaro che c'è della mala fede.
Si perchè poi torna a casa, riprende il solito tran tran e deve sopportare temperature da - 6 a +6.
Non sono sane, io ve lo dico.
E si, è bellissimo alzarsi la mattina, col cielo terso, il sole splendente ed il ghiaccio che brilla sull'erba.
Suscita meraviglia il fiume che, a tratti, si è ghiacciato e sembra scricchiolare mentre lento procede.
Dà una gioia infantile l'aria fredda che ti entra nel naso e ti fa venire voglia di correre a perdifiato lungo il pendio solo perchè ti senti viva.
Però ora basta eh.
Lo scherzo è bello se dura poco.
Ora tiriamo fuori una bella giornata di tramontano che arruffi capelli, pensieri e fronde d'olivo.
E poi basta