giovedì 27 marzo 2014

Esci che è buio.
La notte è appena scesa ed è ancora calda di primavera al suo inizio.
Quei trecento metri che devi fare, potresti percorrerli bendata tanto li conosci: l'ambulatorio dei dottori, l'alimentari delle schiacciate buone da portare a scuola, con la mortadella, il trivio con la sua madonnina scaccia sabba di luna piena, il negozio della tua amica fioraia, il cancello della pazza e il fontanello dell'acqua di "alta qualità", quello che, quando l'hanno messo di fronte a casa dei tuoi genitori, tre o quattro anni fa, tanti ghignavano che era roba da ante guerra e ora non parcheggi nemmeno a pregare in sanscrito chè sono tutti là a chiacchierare col pretesto di riempire le bottiglie.
Quest'aria ti fa bene, questi posti ti fanno bene, ci volevano stasera, così come ti serviranno quei dieci minuti per arrivare alla tua casetta, parcheggiare, e stare ancora un attimo immobile, a guardare dentro, la luce accesa, i bambini che fanno casino, lui che apparecchia a metà, come sempre.
Fare famiglia ti fa schifo.
Fare famiglia ti fa schifo, perchè a volte fa male.
Oddio a volte ti fa fare delle gran risate, ma sono quasi sempre risate un po' amare perchè quella moltitudine di idioti, gretti, approfittatori, coglioni, immaturi, furbi finchè non trovano uno più furbo, irrisolti, mitomani, impotenti o assatanati, cornuti e (spesso anche contemporaneamente) cornificatori, non sono niente di diverso da te e da quello che potrebbe accaderti.
Homo sum...e ciò che ne consegue.
Per i nonni a cui, morto il figlio, una dolce mammina fa sparire anche il nipote, però no, non eri preparata.
Sarà che, più passa il tempo, e più sei felice del rapporto nonni - nipoti che ti gira intorno
E' fortuna allo stato puro lo so.
E me la godo

martedì 25 marzo 2014

L'amore che dura

Sono una persona terribile.
Per carattere ed educazione.
Sono tendenzialmente serena, equilibrata, paziente, incline a godere degli aspetti positivi della vita ed a non farmi travolgere dalle brutture e dal pessimismo.
Mi piace persino la gente, il che va detto, col mio lavoro, è sintomo sicuro di una qualche, gravissima, patologia psichiatrica.
Ovviamente, ho un numero di difetti tendente all'infinito, alcuni intuibili già ad un primo sguardo, altri faticosamente celati ai più.
Ho superficialità, menefreghismi, egoismi, insicurezze, paure, botte di irrazionalità, difficoltà nel distacco, cinismi...insomma un campionario vasto e variegato da cui manca solo e forse, l'inclinazione alla menzogna.
Un amico però, una volta, mi disse che non mento, perchè sono intimamente convinta di avere il pieno diritto di fare come mi pare.
Il che è vero, e potrebbe essere il mio difetto peggiore, se non fosse che io me ne attribuisco un altro:
non mi piace mostrarmi fragile, o meglio, non ho problemi ad ammettere le mie difficoltà quotidiane o le cicatrici dei lutti, ma per le inadeguatezze e le mancanze, per le sconfitte che bruciano, ho bisogno di un posto ben nascosto e della solitudine.
Sono fatta così
E nel mio caso, questa abusatissima ed autoassolutoria locuzione, non vale a mascherare l'incapacità ad agire un cambiamento.
L'ho già detto che sono egoista e menefreghista?
Ecco.


Da anni ormai, nella mia vita ci sono la paura, l'ansia, l'ipocondria, gli attacchi di panico, l'incapacità di affrontare la vita, di godere del bello, di raggiungere un risultato e dirsi soddisfatti, sia pure per un attimo, prima di ripartire per altre mete.
Non mie .
Ci sono stati supporti psicologici di vario tipo ed anche farmaci.
Ci sono stati abbracci che non scaldavano, il terrore dietro a chiamate a cui non veniva data risposta, scene madri, discussioni infinite in cui, deposti gli strumenti della ragione, ci si rivolgeva, inutilmente, a quelli delle emozioni, dei sentimenti.
C'è ancora, la fatica di essere quella forte, quella che regge, quella che è lo scoglio attorno al quale l'acqua turbina o le fondamenta del grattacielo che oscilla al vento.
L'ottimista di cui parlavo anni fa, quella che messa davanti al fungo atomico esclama "però fa un effettone!"
Ora che le cose vanno meglio, che la forza sembra essere tornata per restare, ora, sono io a scoprirmi fragile, terrorizzata da ogni alito di vento, da ogni circostanza, piccola e grande, che potrebbe di nuovo rompere l'equilibrio.
Passerà?
Certamente.
Per il momento però mi sento come una che ha assistito una persona cara in una lunga malattia.
Svuotata, insperabilmente felice e terrorizzata da una probabile ricaduta.
Ci sono, credo, stati mentali che una volta perduti non tornano più.
L'inconsapevole sicurezza con cui andavo per il mondo è uno di questi.




lunedì 24 marzo 2014

Varie

Compleanno 1
Totila ha ricevuto il suo primo, personale, invito ad una festa di compleanno.
Non potevamo mancare visto che si trattava del suo più caro amico, quello con cui gioca a Draghi contro Dinosauri all'asilo e con cui ha stipulato una granitica alleanza contro la "Squala" una delicata signorinella che, se contraddetta, morde.
"Se ci molde, noi la mettiamo nel mezzo e la mattiamo mamma"
A posto, tanto qua siamo per la parità
Io, essendo ormai totalmente presa dal mio trip su ristrutturazioni, decorazioni e complementi (dovrò parlarne con uno bravo) ho accettato l'invito con la stessa gioia del pargolo: la casa che vedo ogni giorno passando con la macchina, mi incuriosva da tempo.
E non a torto, tornado la sera ho investito l'Uomo, ormai avviato alla santità, con altre idee irrealizzabili e fuori contesto
Compleanno 2
Il giorno dopo, sono ripartita con Attila diretta ad locale di quelli con gonfiabili di tutte le razze e dimensioni: un posticino accogliente, ricavato in un mega capannone industriale, giusto dall'altro lato della città.
La facilità nel raggiungerlo mi ha dato agio di santificare la festa nel più puro spirito toscano chè dopo mezzora che giravo tra quegli isolati stranamente squadrati avevo finito la dotazione di salmi ereditata dai parenti fino alla settima generazione
Gli invitati si sono divertiti molto, io sono uscita completamente rintronata, con le orecchie che fischiavano e senza nemmeno la soddisfazione di avere visto un (bel) concerto attaccata all'impianto audio.
Com'era quella vecchia canzone: il mio nome è mai piùùùùù, mai piùùùùù.
Requiem
Domani è il capodanno fiorentino, tradizionalmente a Firenze infatti l'anno cominciava con l'annunciazione a riprova della particolare devozione mariana della città.
Cioè insomma, si, più o meno, chè qui di devozione per carità, tanta, ma in fondo in fondo, baciapile convinti pochi e sempre un po' a comando.
Non ho mai visto la processione fino a Santissima Annunziata e me la perderò serenamente anche a questo giro, però ci hanno invitato per il Requiem di Mozart.
Dice che prima fanno l'Ave verum chè tanto dura poco e poi vanno giù duri.
Ora, andare andiamo, a costo di portare anche Attila e Totila e lasciare che demoliscano i tondi dei della Robbia, ma mi chiedo: va bene la quaresima, però, per capodanno di Firenze, con Renzi a Roma e Nardella in arrivo, non è che poi mi dicono #staiserena?

giovedì 20 marzo 2014

Wherever I lay my hat

 that's my home
Ci siamo.
Il vecchio forno è già stato fasciato di rete arancione fosforescente.
Il muratore (uno che mi deve così tanti soldi che dovrebbe farmi Versailles gratis) lo ha guardato schifato ed ha ascoltato l'ingegnere, in silenzio, solo perchè è maschio e lo conosceva, poi ha sentenziato "ma tirarlo giù e farlo nuovo no?"
Ah bello!
A parte il fatto che la pietra faccia vista mi piace parecchio e i matton sodi intonacati molto meno, ma non è che da quattro anni a questa parte siamo tutti qui a pettinare le bambole ed aspettare te eh?
Ci sei mai stato in Comune? Ecco lascia perdere vai, che qui vincolano anche la cacca e no, prima che diventi fossile, parecchio prima. 
Cuci e scuci come ti dicono e occhio a non fregarti le tegole, chè le ho contate e non ce le voglio nuove, sul tetto mi ci devi rimettere le sue lì.
Insomma comunque, per i vecchio forno si parte, per la casa aspettiamo il rogito che allarga i confini e ripristina le distanze e poi, finalmente si va.
Litighiamo che è un piacere, ovviamente, ed ogni discussione iniziata piacevolmente sulle ali di sogni e desideri, finisce col metro in mano e la bocca storta.
Ci ho messo solo quelle tre ore a fare capire al caro marito (uno che pure sarebbe intelligentissimo per altro) che se faccio una (piccola) stanza per gli armadi e ci metto una finestra e tre porte, gli armadi ci stanno col ...piffero.
Ergo lui deve rinunciare all'idea che la stanza armadi faccia da "filtro" alla camera ed al bagno.
E poi filtro de chè, la nostra camera rimane pur sempre arroccata in piccionaia, e non mi risulta ci abbiano asseganto dame e gentiluomini per la vestizione mattutina.
Arriveranno mica con la Versailles del muratore?
Perchè io non sono nata principessa e non potrei davvero tollerare una che mi valuta la fiatella mattutina o mi decide i vestiti

giovedì 13 marzo 2014

Regali







Mi sono fatta dei regali.
Ne avevo bisogno, sentivo che la mia parte caustica, cinica ed acida stava prendendo troppo il sopravvento.
E diciamolo, già di suo, non è che sia proprio residuale.
La mia sola cura  in questi casi è una massiccia dose di bello e buono.
Sono stata fortunata: dovevo andare al TAR.
Il TAR è bellissimo di suo, già dall'androne del palazzo, uno dei pochi pavimentati con lastroni di petra serena scalpellata a mano identici a quelli dei vecchi marciapiedi: un ingresso rustico per un palazzo che cresce in opulenza al crescere dei piani.
Ma non è questo il primo regalo.
Il regalo è la strada, quella che mi ha portato dallo studio fino a via Ricasoli accompaganta dalla luce nitida della prima primavera.
Andando infatti, mi sono concessa di passare a salutare, di sbieco come sempre chè di più non si può, il giardino di palazzo Pandolfini, quel rettangolo di verde rubato mi ha sempre fatto allegria.
E poi il palazzo, originariamente su disegno di Raffaello, è molto bello.
Non ci disdice nemmeno la ruffianissima iscrizione dedicatoria ai papi medicei, in fondo, i padroni di casa di ragioni per ringraziare ne avevano a josa.
Mi sono lasciata alle spalle la loggia dei Tessitori ed il convento di San Marco, ho evitato l'ingresso del Museo dell'accademia e sono corsa verso Santissima Annunziata, la chiesa è bellissima, non devo dirlo io, ma quello che mi apre il cuore è la piazza.
Non importa se stanno ampliando il museo degli Innocenti e quindi ci sono ponteggi e transenne.
Quel che conta è arrivare all'angolo destro, girare di novanta gradi e godersi i loggiati di qua e di là e di fronte il tracciato di via dei Servi con la cupola rossa che incombe.
Anche qui, butto sempre un occhio alla finestra "sempre aperta" di palazzo Budini Gattai: se sono in vena di dolcezze penso a una sposa che attende il marito per decenni fino a diventare una presenza costante per tutto il vicinato. Una presenza a cui non si vuol rinunciare, per affetto o superstizione, neanche dopo la sua morte. Altrimenti mi diverto a dare credito a pettegolezzi, maligni e storicamente infondati, ed a  pensare a quella giovane sposa, un po' più distratta, intenta a guardare dalla finestra non tanto se tornava il consorte, ma come era bella la statua equestre dell'amante che da sotto, in bronzo, la fissava.
Mi è bastato un quarto d'ora e mi è cambiata la giornata.
Non mi sono accontentata però, di ritorno un mazzo di fiori mi ha attirata ad un chioschetto.
Orchiedee verdi dalla bocca rossa abbracciate da foglie di magnolia splendenti, rigide e scure, aspettavano me.
Costavano così poco che ho dovuto toccarle per essere certa fossero vere: sono fiori da morti, o meglio, sono quei fiori che, a causa del gambo cortissimo, dalle mie parti almeno vengono usati solo per  corone e copribara.
Almeno fino ad ora, perchè quel fioraio ha avuto un'idea molto meno mesta e mi ha dato modo di rallegrare gli occhi anche al banco da lavoro.
 Ero in vena di regali, l'ho detto così ho prenotato una visita al Vasariano.
Manco da così tanto tempo che più che un ritorno sarà una scoperta.
E chissà che stavolta non riesca ad affacciarmi dai finestroni che il buon Benito fece aprire sulla facciata,  nel bel mezzo del Ponte Vecchio , per permettere all'amico Adolfo di apprezzare il corso del fiume ed i suoi ponti

lunedì 10 marzo 2014

mamma di figli maschi l'8 marzo


Tu, cara la mia mamma di figlia femmina che sabato bivaccavi con me ai margini di quella festa di compleanno hai certamente letto quell'articolo/post di qualche tempo fa, quella "lettera aperta" con cui un'altra mamma di figlia femmina faceva un pistolotto lunghissimo su come una mamma di figlio maschio dovrebbe educare la sua progenie.
L'hai letto, l'hai interiorizzato, ci hai messo del tuo.
E fin qui...
Ma proprio a me dovevi rovesciare addosso tutte le tue considerazioni?
Proprio io dovevo essere la discepola beneficiata dalla tua lectio magistralis?
E proprio sabato, in giardino, con quel solicino e la mimosa in fiore?
Chè io ce la metto tutta a fare la brava, a sorridere e dirti che è vero, che hai ragione, che sarebbe bello se le bambine che ieri giocavano a pallone e saltavono sul tappeto elastico, avessero una vita più semplice, strade più aperte, maggiori riconoscimenti, opportunità vere, uguali a quelle dei maschi.
Il fatto è che io lo penso, lo penso davvero e combatto, nel mio piccolo, le mie battaglie perchè avvenga.
Poi incontro te e non ce la fo.
Mi hai rovianto l'otto marzo, sappilo.
Perchè vedi io non insegno ai miei figli a rifarsi il letto perchè domani tua figlia abbia la vita più facile.
Ma proprio per niente.
E non è quella la ragione per la quale cerco, in ordine sparso e del tutto casuale, di far loro apparecchiare e sparecchiare la tavola, rimettere in ordine i giochi, buttare i panni sporchi nel cesto della biancheria e un domani chissà, anche in lavatrice, coinvogerli nella preparazione di pranzi e cene, alzare la seggetta del water prima di fare pipì (pena lo strofinamento dei musini sulla suddetta asse come si fa con i gattini che hanno preso la lettiera per un parco gioghi e la fanno fuori).
A me 'sta storia che siccome tutti i maschi hanno avuto una mamma per cui, se del caso, la colpa è sua, proprio non va giù.
Perchè diciamocelo, vale anche per le femmine, e  infatti c'è della robina a giro che levati...

Quindi te lo ripeto, non lo faccio per tua figlia, lo faccio per i miei di figli, perchè domani possano andare per il mondo ed avere una vita piena e serena, dotati di quelle capacità minime necessarie che  consentiranno loro di vivere da soli o in compagnia, in modo decente.
E con questo non voglio dirti che tu dovresti insegnare alla tua bambina a cambiare una lampadina, aprire un cofano, usare il disgorgante, non urlare come una forsennata per un ragno/topo/colibrì chè tanto con le urla non se ne vanno.
Fai tu.
No voglio dirti che finchè l'idea delle mamme di figlie femmine sarà che i maschi devono essere educati ad "aiutare" le femmine nei lavori quotidiani, le cose non andranno avanti proprio per niente.
Facciamo invece che ognuno deve imparare ad occuparsi di sè stesso.
E visto che ci siamo, facciamo anche che i miei figli si trovino una/o che non sia venuto fuori da te eh?



mercoledì 5 marzo 2014

Anna e Marco, una vecchia canzone

Era martedì grasso.

Era la festa di carnevale della casa del popolo del paesello.
Era una bolgia infernale.
C'erano tutti, dai 3 mesi ai 103 anni, ognuno con la sua giustificazione o la sua scusa, ognuno con la sua maschera, comprata per l'occasione ed indossata consapevolmente o messa su distrattamente come ogni mattina.
C'ero anche io, con i miei tempi da pessima madre in perenne ritardo, ma c'ero.
E la scena più bella non me la sono persa.
Quando sono arrivata Attila era sul ballatoio, tra lo scalone e l'ingresso della sala della tombola trasformata per l'occasione, negligentemente appoggiato al tavolo che era stato usato come biglietteria e rivendita di coriandoli e stelle filanti. Lei stava in piedi, molto vicina, avvolta in un abito da principessa troppo grande per la sua figura minuta.
Parlavano fitto fitto a voce bassa, un esercizio apparentemente inutile vista la confusione.
Sono sgusciata dentro senza farmi vedere appena un attimo prima che loro decidessero di fare altrettanto.
Il loro ingresso è stato però, molto migliore del mio: sulla porta, si sono voltati l'uno verso l'altra, hanno proteso le braccia, assunto una strabiliante posizione da valzer viennese, e, sordi alla canzonetta pop che stavano suonando, hanno seguito una loro personale melodia girando tutta la sala tra lo stupore generale.
Poi, si sono presi per mano ed hanno cercato un altro angolo tranquillo
E lo so che sono cse da bambini, che non hanno senso nè importanza, ma come sono belle e quanta delicatezza, quanta dolcezza.
Mi è così tornata in emtne quella vecchissma canzone di Dalla
..."ma dimmi tu dove sara'
dov'e' la strada per le stelle
mentre parlano
si guardano e si scambiano la pelle
e cominciano a volare..."

lunedì 3 marzo 2014

Amiche.

In questi giorni di silenzio ho visto delle amiche.
La vita, almeno la mia, gira così,ci sono periodi in cui sembra non succedere niente e periodi in cui succede di tutto, periodi in cui non c'è niente che ti tocca più di tanto e periodi in cui molto arriva direttamente nei punti più sensibili.
Quando capita, ci vuole un po' per riprendere fiato e formulare pensieri.
Il tempo ci passa addosso e, dei segni che lascia, quelli immediatamente visibili non sono che l'effetto secondario.
Le piccole rughe a forma di parentesi che si stanno accentuando ai lati della mia bocca dicono che rido spesso e volentieri, quella sempre più profonda che divide in due le mie sopracciglia, che penso, mi preoccupo e brontolo troppo.
Anche le amiche che ho incontrato, hanno  i loro segni.
Alcuni sono recenti, nuovi, e io vorrei poterli cancellare tutti.
Indicano, in una, un dolore che è destinato a crescere, fino a diventare acuto, fino a fare desiderare per sè e per l'altro, che finisca presto, subito.
Sarà accompagnato dalla fatica, dallo scombussolamento di vite ed abitudini, da conflitti e mediazioni.
Ed è un dolore che destinato a restare, che il tempo potrà attutire, certo, ma non cancellerà, diventerà un vuoto contenitore di malinconia e di passate dolcezze.
Col tempo, speriamo.
E' un destino segnato, tocca a tutti i fortunati, è un passaggio di vita che toccherà anche a me, ed ai miei figli, mi auguro, ma questa consapevolezza, non aiuta neanche un po' quando ti trovi a stringere forte una mano che ti stringe ed asciugare lacrime nascoste.
Nell'altra sono invece il simbolo di un rimpianto, di una battaglia che si è deciso di combattere forse fuori tempo massimo con la consapevolezza che è più persa che vinta.
Il simbolo di un piccolo spazio vuoto che, improvvisamente, appare intollerabile e incolmabile.
Tanto più intollerabile ed incolmabile perchè a lungo lo si era elevato a simbolo della propria libertà e difeso strenuamente anche a scapito dei desideri altrui.
E ora che quei desideri si sono sopiti, dopo tanti anni e tanti sforzi, proprio ora, scoprire che invece sono diventati condivisi ha avuto un effetto dirompente.
Sbattere contro quel muro (un altro, lo stesso?) è davvero doloroso, scava le guance dalla delusione, spinge a cercare vecchi contatti, un po' accantonati, alla ricerca di una comprensione che giustifichi ed accolga. che rassicuri forse, di essere nel giusto.
Ma per me, amica mia, eri nel giusto anche prima.