giovedì 13 marzo 2014

Regali







Mi sono fatta dei regali.
Ne avevo bisogno, sentivo che la mia parte caustica, cinica ed acida stava prendendo troppo il sopravvento.
E diciamolo, già di suo, non è che sia proprio residuale.
La mia sola cura  in questi casi è una massiccia dose di bello e buono.
Sono stata fortunata: dovevo andare al TAR.
Il TAR è bellissimo di suo, già dall'androne del palazzo, uno dei pochi pavimentati con lastroni di petra serena scalpellata a mano identici a quelli dei vecchi marciapiedi: un ingresso rustico per un palazzo che cresce in opulenza al crescere dei piani.
Ma non è questo il primo regalo.
Il regalo è la strada, quella che mi ha portato dallo studio fino a via Ricasoli accompaganta dalla luce nitida della prima primavera.
Andando infatti, mi sono concessa di passare a salutare, di sbieco come sempre chè di più non si può, il giardino di palazzo Pandolfini, quel rettangolo di verde rubato mi ha sempre fatto allegria.
E poi il palazzo, originariamente su disegno di Raffaello, è molto bello.
Non ci disdice nemmeno la ruffianissima iscrizione dedicatoria ai papi medicei, in fondo, i padroni di casa di ragioni per ringraziare ne avevano a josa.
Mi sono lasciata alle spalle la loggia dei Tessitori ed il convento di San Marco, ho evitato l'ingresso del Museo dell'accademia e sono corsa verso Santissima Annunziata, la chiesa è bellissima, non devo dirlo io, ma quello che mi apre il cuore è la piazza.
Non importa se stanno ampliando il museo degli Innocenti e quindi ci sono ponteggi e transenne.
Quel che conta è arrivare all'angolo destro, girare di novanta gradi e godersi i loggiati di qua e di là e di fronte il tracciato di via dei Servi con la cupola rossa che incombe.
Anche qui, butto sempre un occhio alla finestra "sempre aperta" di palazzo Budini Gattai: se sono in vena di dolcezze penso a una sposa che attende il marito per decenni fino a diventare una presenza costante per tutto il vicinato. Una presenza a cui non si vuol rinunciare, per affetto o superstizione, neanche dopo la sua morte. Altrimenti mi diverto a dare credito a pettegolezzi, maligni e storicamente infondati, ed a  pensare a quella giovane sposa, un po' più distratta, intenta a guardare dalla finestra non tanto se tornava il consorte, ma come era bella la statua equestre dell'amante che da sotto, in bronzo, la fissava.
Mi è bastato un quarto d'ora e mi è cambiata la giornata.
Non mi sono accontentata però, di ritorno un mazzo di fiori mi ha attirata ad un chioschetto.
Orchiedee verdi dalla bocca rossa abbracciate da foglie di magnolia splendenti, rigide e scure, aspettavano me.
Costavano così poco che ho dovuto toccarle per essere certa fossero vere: sono fiori da morti, o meglio, sono quei fiori che, a causa del gambo cortissimo, dalle mie parti almeno vengono usati solo per  corone e copribara.
Almeno fino ad ora, perchè quel fioraio ha avuto un'idea molto meno mesta e mi ha dato modo di rallegrare gli occhi anche al banco da lavoro.
 Ero in vena di regali, l'ho detto così ho prenotato una visita al Vasariano.
Manco da così tanto tempo che più che un ritorno sarà una scoperta.
E chissà che stavolta non riesca ad affacciarmi dai finestroni che il buon Benito fece aprire sulla facciata,  nel bel mezzo del Ponte Vecchio , per permettere all'amico Adolfo di apprezzare il corso del fiume ed i suoi ponti

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