lunedì 1 luglio 2019

Felice. Con sensi di colpa

In questo periodo sono felice.
Felice è una parola grossa, una di quelle che dalle mie parti si usano con parsimonia.
E' una questione di pudore, forse, di scaramanzia, o solo la consapevolezza che se c'è uno stato transitorio nell'esistenza, quello è senz'altro la felicità.
La felicità è cosa fragile, effimera, un'alchimia tanto preziosa quanto instabile.
Se dura troppo diventa subito un'altra cosa: serenità, allegria, gioia, completezza, sicurezza.
Se dura troppo e non è diventata un'altra cosa, è segno che sono venuti a mancare ancoraggi importanti con la realtà.
E in effetti una ragione per cui sono felice è che ho tagliato certi ancoraggi.
Ho messo da parte la smania di leggere commenti e prese di posizione su cose che ritengo sbagliate, il desiderio di spiegare, di mostrare, il rifiuto di comprendere che non c'è un vero dialogo, la ricerca all'esterno, di giudizi più saggi da persone qualificate o solo che vivono all'estero.
Ho accettato che la ricerca di dialogo è spesso inutile, perchè non c'è volontà, che i giudizi si sprecano anche e spesso per vanagloria, superficialità, desiderio di dirsi diversi senza considerare (a volte sapere) da quale pulpito di parla
Mi sono ritirata nel mio "particulare", qui dove i figli crescono bene e possono fare prove di libertà, dove la bellezza dilaga, dove si possono ancora fare conversazioni intelligenti, dove le cose che mi servono ci sono e funzionano, dove non tutto è un prodotto o un servizio, dove  si può fare (e non solo dire) in favore di chi ha bisogno, dove si può lavorare e, col lavoro, levarsi qualche sfizio.
Qui dove posso, se non fregarmene, distrarmi un po' dal resto del mondo   
Peccato che poi mi senta in colpa