lunedì 25 settembre 2017

Sesso e alcool nei rioni. La difficile transizione da ragazza a mamma di ragazzi

Non ho mai fatto vita da rione.
Non sono un tipo da feste paesane.
Il mio senso del ridicolo è molto sviluppato e, purtroppo per me, non si esercita solo sugli altri.
Anzi.
In più, non ditelo a nessuno, le sfilate di carri mi annoiano oltre misura.
Evitare certi ritrovi, però non mi ha impedito negli anni di assistere (e occasionalmente partecipare) a tutte quelle attività risibili, disgustose, stupide, pericolose, tipiche dell'adolescenza e della prima giovinezza.
Giusto due esempi
Sono andata in spiazzi di aperta campagna a fare testacoda con macchine nuove guidate da neopatentati convinti di essere novelli James Dean.
Siccome siamo sempre tornati tutti sani, quello che ricordo è che mi sono divertita come una matta.
Mi sono trovata, lontana da casa e con una profonda delusione da digerire, in un letto straniero con uno che (giustamente) si aspettava cose che però non avevo davvero intenzione di fare.
Siccome, era intelligente (lui), di tutta la faccenda mi è rimasto solo un bell'insegnamento.
Ho raccolto capelli in code che erano pugni, e retto teste, scosse da conati, ho scrutato incarnati verdognoli e pupille come capocchie di spilli. Il fatto che non mi sia mai davvero ubriacata e che non abbia mai lasciato che fumo, di nessun tipo, attraversasse i miei polmoni, sono solo da riferirsi al senso del ridicolo di cui sopra ed alla mia storia familiare.
La mia è la generazione di Christiane F e dello zoo di Berlino e no, non lo leggevamo a scuola come fanno ora, ce lo passavamo sussurrando da quelli con i genitori intelligenti a quelli con i genitori bigotti.
Ho visto gente "per bene" prostituirsi per una dose, morire con una siringa in un braccio. Non era l'alcool il nostro problema
E' anche la generazione del mostro di Firenze (Cicci per chi doveva convivere con la sua, poco piacevole, presenza e con il genius loci che su tutto trionfa)
La lista delle mie stupidaggini è tutto sommato modesta, ma abbastanza lunga da non farmi vergognare della mia gioventù, nè rimpiangere il tempo passato.
Ho buona memoria ed abbastanza letture per sapere che nemmeno l'essere più assennato può crescere se non valicando qualche limite, infrangendo qualche regola, gustando una qualche trasgressione.
Ed è per questo che ho ascoltato con ansia crescente i racconti delle serate trascorse da alcuni ragazzi del rione che gli unni vogliono frequentare, beccati in situazioni parecchio promiscue, in posti parecchio inadatti, con parecchio vino in corpo.
Non mi ha aiutato il sorriso di chi mi ha fatto notare che erano tutti maggiorenni, per cui ad Attila mancano ancora 7 anni buoni.
Maggiorenni e consenzienti, ho scoperto, è un buon inizio per me, ma non abbastanza
E quindi ora sono qui, la vecchia babbiona che non resiste dall'ammansire pistolotti sul rispetto di sè e degli altri  ad un ragazzino sbigottito.
Pare facile, ma c'è da tenersi lontani dall'antiquato e stantio moralismo senza incappare nel (falsamente) nuovo e sempre ingannevole "ogni lasciata è persa".

lunedì 18 settembre 2017

villeggiatura

Quest'anno, dopo tanto tempo, sono stata in villeggiatura.
La villeggiatura non usa più, lo sanno tutti.
E' una roba antica, come i vestiti su misura, le buone maniere a tavola, il corsivo, elegante e personale, gli asciugamani di lino.
Tutta roba stantìa, come me che, infatti, li amo tutti.
Siamo stati tre settimane al mare, nella casa del mare, sempre quella, nello stesso stabilimento di sempre (anche se per me il mare nello stabilimento non è mare).
Abbiamo lasciato che il tempo ci scorresse addosso, dolce e pigro, come l'acqua che, quest'anno, sfiorava la sabbia per educazione e convenzione, senza intenzione.
Ci siamo svegliati lenti e fatto la vita da spiaggia dei vecchi: la mattina fino all'ora di pranzo e poi il pomeriggio dopo le quattro.
Nel mezzo ci abbiamo messo un po' di compiti, qualche pagina sotto il gazebo, qualche pisolino, parole, risate, carezze.
La sera siamo usciti, fino a tardi, ridacchiando dell'insopportabile moglie anglofona del vicino d'ombrellone che si lamentava dei ragazzetti in giro fino ad orari inauditi e si faceva infamare sottovoce dai dirimpettai chè i suoi pargoli, messi a letto prima dell'ora di cena, la mattina alle 6 giocavano in giardino.
Abbiamo avuto ospiti.
E in quella casa lontana dalla quotidianità di tutti, abbiamo avuto modo da un lato, di riscoprire che la lontananza non spezza certi incastri lubrificati nel tempo e resi agili dall'uso, dall'altro accresce incomprensioni e fastidi. Non abbiamo risolto problemi, questo no. Però ci siamo guardati negli occhi senza uno schermo nel mezzo e, se ce ne fosse stato bisogno, abbiamo capito che la tecnologia è bellissima, ma le manca il calore.
Abbiamo cucinato, il giusto, vegano per lo zio, vegetariano per la zia, di tutto per la famiglia di mia cugina che, grazie al cielo, ha l'unica abitudine alimentare che comprendo appieno: ingredienti buoni, messi insieme per bene.
Abbiamo discusso, tanto, di politica, religione, soldi, salute, sesso, tra noi e con gli amici, compatendo un po' quelli che non discutono mai, non si sfottono mai, quelli beneducati insomma, chè io senza una buona dose di cattiveria mi annoio da matti.
Abbiamo persino rivisto "amici miei".
Un capolavoro assoluto
E di nuovo, se mi fosse servito, mi sono ricordata che quello che mi serve per essere davvero felice sono le persone.
Una settimana in montagna, e agosto era finito.
Quest'anno ho odiato settembre.