venerdì 29 maggio 2015

La paziente impaziente ovvero la mia rissa all'ospedale

Ieri sono andata a ritirare l'esito della mammografia.
La mammografia mi mette ansia.
Tanta.
L'inquietudine inizia a montare quando chiamo il c.u.p. per la prenotazione e scema solo dopo che ho letto il responso. La mia parte razionale sa benissimo che è un esame di routine, che non c'è alcuna ragione specifica, nessun rischio noto, sa anche come funziona il giochino per cui, se c'è qualcosa ti trattengono ed approfondiscono subito o, al massimo, il giorno dopo, se non lo fanno, puoi andare leggera e ritirare l'esito a tempo e comodo, tuo e del medico che deve scrivertelo.
Il fatto è che la mia parte razionale non vince sempre la partita, ci sono casi in cui l'altra la straccia proprio: game, set e incontro, 6-0, 6-0, 6-0. La mammografia è uno di quelli.
In genere, preferisco scegliere di farla a senologia, perchè su certe cose non ci tengo ad essere originale o, se preferite la vulgata locale, "perchè è bene farsi impiccare dal boia".
Solo che quest'anno i locali del reparto di senologia sono in ristrutturazione e quindi, le mamografie le fanno a Careggi, nella palazzina di ostetricia e ginecologia.
E' bellina eh, l'hanno ristrutturata di fresco, tutta vetri e acciaio come va di moda ora, una grande hall di ingresso e flussi separati per chi deve accedere ai reparti e chi, invece, può accomodarsi ad aspettare di essere chiamato per l'accettazione degli esami ambulatoriali e tutto il resto.
Bellina si.
Tu entri col tuo foglio di prenotazione in mano ed alla tua destra trovi le macchinette per pagare il ticket, sai già l'importo perchè è scritto sul foglio della prenotazione e mentre aspetti di fare l'accettazione che fai? Paghi, che vuoi fare?
E sbagli.
Sbagli perchè tu, che devi fare la mammografia a senologia, non fai l'accettazione come gli altri, no, tu devi andare a senologia e lì fare l'accettazione e pagare il ticket.
Ora, se non si fosse capito, senologia può anche nominalmente essere un ente a parte, ma è un istituto della ASL come ortopedia o pneumologia e i soldi del ticket vanno alla ASL, quindi....
Quindi io, quando sono arrivata dalle signorine dell'accettazione "a parte" e mi sono sentita dire che dovevo ripagare e poi, se volevo, fare istanza di riborso alla ASL ho detto "no grazie, voi fatemi fare l'esame, poi me la vedo io".
Hanno confabulato un po' e poi hanno fatto l'accettazione e io, poco dopo, l'esame.
Saluti e baci.
Ieri però, al ritiro, pretendevano di nuovo che pagassi ed anzi, consideravano il pagamento elemento essenziale  senza il quale non mi avrebbero consegnato il mio sospirato bustone.
Poichè non ho niente contro queste signorine e capisco benissimo che debbano attenersi alle istruzioni ricevute, pacatissima, ho detto loro che non potevano rifiutarsi di consegnarmi l'esito di un'attività diagnostica eseguita sulla mia persona, le fotografie delle mie poppe e tutto il resto: sono appena appena dati personali e sensibili, e noi in Italia, davanti alla privacy ed ai dati personali e sensibili ci inchiniamo tutti tutti, sempre sempre, pure quelli con l'ermellino, quindi loro avrebbero dovuto darmi il mio referto e poi potevano, se non lo avevano ancora fatto, segnalarmi all'ufficio amministrativo perchè desse corso alle attività che riteneva opportune per il recupero della mia "evasione".
L'hanno presa malissimo.
Mi hanno fatto notare che tutti ripagano (chissà perchè, ma ci credo) e nessuno si è mai permesso, anche se capita spesso che le persone sbaglino (anche qui, chissà perchè, ci credo), anzi ci sono signore anziane (sic!) che loro aiutano indirizzandole dove di dovere per i rimborsi.
Ho detto loro che "io no", mi dessero il mio esame e procedessero oltre.
Dopo una decina di minuti abbondanti di vede così-vede cosà, una, certa di avere l'argomento risolutivo, è saltata su e con aria di volermi insegnare l'abc mi ha detto che la mia pretesa era folle, che nessuno mi avrebbe mai dato alcunchè se non pagavo e del resto "signora, se va a comprare un paio di scarpe, non esce certo dal negozio prima di averle pagate!"
Ora, a parte che io ho pagato, a parte che, forse, c'è qualche piccola falla nel sistema informativo giacchè non è scritto in alcun luogo che le macchine per i ticket (identiche per altro) valgono ora si, ora no, a seconda di dove sono e dove devi andare tu, ma "un paio di scarpe?"
La mia mammografia un paio di scarpe?
L'ho presa malissimo anche io e gelidissima le ho sussurato che se non mi consegnava l'esame chiamavo i carabinieri.
La saletta era sgomenta, molte pazienti pensavano, evidentemente, che sono una pazza e mi è spiaciuto, ma quando mi parte la bambola, mi è partita, e torna solo dopo avere fatto tutto il giro.
Le impiegate hanno deliberato di chiamare il direttore nonchè primario il quale è comparso, si è informato, e mi ha detto: "non posso darglielo", gli ho risposto: "le assicuro che può", allora ha cominciato a rifarmi tutta la tiritera ed alla fine si è detto disponibile a comunicarmi il referto oralmente, senza consegnarmelo.
Carino.
Un po' pochino però
Quando mi arrabbio tanto, io sono gelida fuori, ma non dentro, in più fare piazzate in pubblico non è nel mio carattere e mi mette molto a disagio, ho quindi accettato di andare nel suo studio dove mi ha letto il responso e poi, su mia richiesta, ha chiamato il direttore sanitario.
La telefonata è stata fantastica: "ho qui ciacco che mi dice di avere pagato così e cosà, per me non va bene, devo darle ugualmente il plico o no? perchè io penso di no"
"si eh, ma così...si, insomma, se lo dici tu, però....va bene, si, grazie, ciao"
Sono uscita col mio bustone, ho salutato e via.
Contenta?
Nemmeno un po', perchè là fuori il messaggio non è passato, anzi, lo so per certo, sono stata vista come la solita prepotente che fa casino ed ottinene ciò che non le spetta.

Una fatica




mercoledì 27 maggio 2015

perchè sono e sarò sempre a favore dei compiti a casa

lo spiega bene lui qui
http://www.lastampa.it/2015/05/27/cultura/opinioni/secondo-me/in-classe-si-impara-un-metodo-a-casa-si-acquisiscono-le-conoscenze-qyfeCdjNtzKFk9R6mApLfM/pagina.html

E spiega abbastanza bene anche perchè sono tre anni che fracasso le maestre sull'importanza del metodo tutte le volte che mi capitano a tiro.

Se qualcuno si stesse chiedendo se Attila mi odia, la risposta è: si certo. Sono sua madre

venerdì 22 maggio 2015

Li ravioli e la cucina di casa.

Abbiamo fatto "li" ravioli.
I ravioli sono un classico della cucina di casa: la mia nonna materna cominciava a frantumare chiunque le capitasse a tiro non appena nascevano le prime foglioline e smetteva soltanto quando su ogni superficie sufficientemente piana della sua enorme cucina c'era un letto di canovacci e farina pronto ad accogliere la produzione. Allora, in genere. attaccava con la storia della pasta (mai abbastanza sottile), con la necessità di essere veloci (chè poi si rammollano e in cottura si rompono), e del sugo poco saporito. Infine, mentre preparava vassoi e vassoi di avanzi per tutti noi (e non per il cane), si lamentava che non era stato mangiato niente.
Ovviamente sorrideva dall'inizo alla fine, piombando su questo e su quello, correggendo, incoraggiando o semplicemente conducendo le sue accuratissime e amorevolissime indagini sui fatti più privati di tutti noi; raramente, chiacchierava.
Era una bellissima festa, cui partecipavano tutti dai più piccoli, per i quali c'erano farina e spianatoia ad hoc, ai più vecchi, dai maschi, ai quali toccava impastare e tirare la sfoglia, alle femmine, dai più svegli a quelli più pasticcioni  perchè comunque male, male " 'u chiù fissu gratta 'u tumazzu".
E poi, si mangiava.
Ci scherzavamo sopra l'altro ieri, a casa di mia mamma, mentre impastavamo 18 uova con un paio di chili scarsi di farina, tiravamo la sfoglia e farcivamo di ricotta e strigoli (altro che spinaci!).
La nostra famiglia è proprio "bastarda" ed è bellissimo, ecco.
Si fa tanto parlare di culture, differenze, distanze problemi, tutte cose vere, grandi, immense, dolorose e poi una sera ti trovi in cucina e fai ravioli.
Fai i ravioli per un imperativo morale, per un riflesso pavloviano indotto da una donna di un paesino delle Madonie che, per i primi cinquant'anni buoni della sua vita, non aveva mai contemplato l'esistenza della pasta ripiena.
Una che da "casa" si era portata roba tipo la parmigiana di melanzane e l'insalata di arance e finocchi, il croccante e gli amaretti di mandorle, la pasta con i "vruocculi arriminiati" o le sarde, la caponata e lo sfincione e non si era fatta alcun problema nel diffonderle presso tutti quelli che le capitavano a tiro nonostante le titubanze degli inizi.
Per parte sua, da contadini dei poderi vicini aveva imparato, quasi da subito, ribollita e panzanella, frittelle di riso e cenci per le feste, l'uso del coniglio, e persino fave crude e brodo.
Poi arrivò mio padre e sia sua madre che suo padre portarono altro.
Mio nonno adorava cucinare ed era bravissimo nella più tradizionale cucina toscana: stracotti, umidi, polpette di lesso, arista e roastbeef, legumi, erbe ripassate in padella, frattaglie (ah il cibreo del nonno!): la sagra del colesterolo.
Mia nonna meno, la cucina quotidiana la scocciava, ma quando decideva che le andava, allora si ricordava di essere romagnola ed erano tagliatelle al coltello, cappelletti, gnocchi e passatelli (asciutti o in brodo), tortelli e strozzapreti, zuppa inglese (e qui ci sta il minuto di raccoglimento)
Questi usi non rimasero confinati nelle rispettive cucine, ma si mescolarono e divennero gli uni patrimonio anche degli altri in un guazzabuglio forse senza capo nè coda, ma gustoso.
Presa la china, non c'era ragione di fermarsi:  da altri posti, per altre vie, attraverso affetti duraturi arrivò di tutto: la polenta da un amico veneto dei miei genitori, gli involtini in foglia di vite da una cugina acquisita, rumena, i jefke (il nome l'ho imparato decenni dopo) di mia zia e la cassata di sua mamma, tortellini, lasagne verdi, bollito dalla seconda moglie di mio nonno, bolognese di adozione. Lei, laSara, ha portato nella mia famiglia anche il gusto per il cous cous, per certi dolcetti di semolino e mandorle e, naturalmente, per il mitico té alla menta servito con arachidi tostate. Roba che aveva segnato la sua infanzia/adolescenza africana.
Poi ci sono stati (e ci sono) gli amici: calabresi e messicani, torinesi e sardi.
Mi piace molto questa cosa che, ognuno, porta qualcosa e tutti ci sentiamo liberi di pasticciarcela a piacere, mia cugina per esempio ci propina paella e baccalà come se non ci fosse un domani in onore della sua nuova casa e, visto che ha tempo, frequenta un sacco di corsi di cucina.
Tra dieci giorni torna e, dice, mi insegna a fare il sushi
Totila non sta nella pelle chè, in questo momento, il Giappone per lui è Shangri-La.
I ravioli glieli abbiamo congelati, ma non so se resisteremo alla tentazione.
Dieci giorni sono lunghi
  

lunedì 18 maggio 2015

E ti guardo (nuovo ma vecchio, sperando di non perderlo come tutto il resto del vecchio blog)



E ti guardo

Ti guardo e ti vedo più bello.
Il tempo è stato gentile, ma c’era da aspettarselo.
Io, per dire, lo sapevo che saresti stato meglio a 45 che a 25.
Sapevo anche che a 15 dovevi essere un disastro e lo sapevo prima di vedere quelle foto, quelle che, se non fosse per la tenerezza, andrebbero bruciate.
Lo sapevo perchè siamo fatti della stessa pasta e senza tutte le stronzate
sulle anime gemelle a cui non credo, a cui non credi e a cui quelli come noi
devono essere ubriachi forte per credere.
Non sto dicendo che sia un bene, sto dicendo che è così.
Noi non siamo quelli delle carrozze con i cavalli, bianchi poi, chè
diciamocelo quanti mai dovrebbero essere ‘sti cavalli tutti bianchi e del tipo
idoneo a trainare carrozze, per soddisfare la bisogna?
Troppi, decisamente, troppi.
Noi siamo quelli che si scelgono tutti i giorni, ma davvero e non per posa,
chè a volte me lo chiedo mille volte, in un giorno, se ne vale sempre la pena o se è mai valsa.
Siamo quelli che si guardano sempre: brutti da fare paura, come capita mentre partoriscono o dopo un esame disgustoso ed invasivo e si vedono brutti, chè brutti sono e dire il contrario sarebbe mentire.
Si guardano ed a volte si vedono belli, come sei stasera, per dire, con i
capelli brizzolati, ma abbastanza lunghi per arricciarsi, con la camicia bianca
aperta, la cravatta in tasca, le maniche arrotolate e la faccia tirata-da-
mestiere-di-merda-voglio-andare-dai-bambini-ma-prima-vieni-qui-e-chiudi-la-
porta.
Noi siamo quelli che si sono piaciuti e si piacciono “senza testa”, prima
della testa, ed è bene così, perchè in fondo io a quelli la cui pelle non
parlava alla mia non ho mai nemmeno dato una chance.
Siamo però anche quelli le cui teste si sono riconosciute subito e sì che su
tanti argomenti partivano da presupposti tanto lontani e su tanti rimaniamo
lontani, perchè io sono io e tu sei tu e il noi, al limite è la sintesi, o il
compromesso, se serve.
Ragionare no, comunque, abbiamo sempre ragionato nello stesso modo, anche se io non ho fatto il classico e tu non sai risolvere un’equazione, anche se tu sai essere iracondo ed io fredda, io accogliente e tu spietato, perfezionisti o cialtroni a giorni alterni, curiosi sempre e mai, volontariamente almeno, superficiali nella “raccolta dei dati”.
E’ un sacco di tempo che ci guardiamo lo sai?
Fammi un piacere, non distogliere lo sguardo, ancora per un po’ almeno

mercoledì 13 maggio 2015

Felicità. Attimi

E' notte e siamo entrambi distesi sul letto.
Sono 20 anni, oggi, che stiamo insieme.
20 anni da quella cena nella pizzeria più squallida del mondo, da quella pizza orribile, dalla mia minigonna nera con gli anfibi e dalla tua macchina nuova, blu, comprata a metà con tuo fratello.
Guardi il soffitto e mi chiedi se mi rendo conto che sono passati 20 anni.
Mossa terribile. Sono pur sempre una donna, è tutto il giorno che mi tormento all'idea di quella minigonna e degli anfibi.

Ma mi conosci, sai che non rischi.
Infatti per tutta risposta ti faccio una domanda di quelle che una donna assennata non dovrebbe fare mai: "ci avresti mai creduto?"
Taci.
Poi mi fai: "non lo so, non ci ho mai pensato. A dire il vero non so nemmeno quando è successo, ma a un certo punto ho cominciato a pensare che la vita, senza di te, sarebbe stata  immensamente vuota"
Immensamente

lunedì 4 maggio 2015

Expo si, expo no, expo boh!

Le immagini le hanno viste tutti, credo un po' ovunque e chissà, forse, qualcuno per completezza di informazione, si direbbe, avrà fatto circolare anche quelle del giorno dopo con la gente che puliva ed i soliti numeri ballerini della questura (10000,00 - 15.000,00 - 5000,00?).
Non è che mi importi molto.
Non so giudicare la bontà dell'inziativa, in termini di ritorno economico, non ora almeno.
Certo questo va detto, se prima non pensavo neanche di andarci, ora un po' di voglia me l'hanno fatta venire: i padiglioni sembrano davvero belli, la varietà di prodotti alimentari offerti pressochè sterminata e le ragioni contrarie portate avanti in modo così follemente sbagliato da solleticare più di una reazione, puramente emotiva, di senso opposto.
Al solito, sotto certi aspetti è un peccato perchè molte delle istanze critiche sono interessanti ed in alcuni casi più che condivisibili.
Non parlo della contestazione secondo la quale non ha senso fare un esposizione universale sul tema del cibo, perchè una simile manifestazione è meno che inidonea a dare soluzione al problema della fame nel mondo.
Sono decenni che abbiamo la FAO e, mi pare, che a volere essere onesti, prima di invocare il blocco di una roba dalla durata semestrale, dovremmo discutere di un carrozzone che esiste da decenni, drena una quantità impressionante di fondi e si è dimostrato assolutamente incapace di portare a casa risultati, non dico risolutivi, ma almeno di un certo spessore.
Non mi pare che dalle expo precedenti siano emerse soluzioni globali che abbiano stravolto il pianeta.
Torre Eiffel esclusa, naturalmente.
Non parlo nemmeno delle solite e tristissime questioni relative ai costi, mazzette, malaffare, varie ed eventuali, chè diciamolo, l'idea di bloccare tutto e per sempre, è sintomatica dello spessore intellettivo di un sacco di politici, sindacalisti e intellettuali, non solo italici.
Dalle mie parti siamo notoriamente rozzi, e ricordiamo ancora il gesto di un marito geniale che, intendendo fare dispetto alla moglie, operò un taglio drastico senza considerare le possibili conseguenze a suo danno.
Ciò che meritava e merita tuttora di entrare nel dibattito era ed è ciò che attiene all'uso ed all'abuso delle risorse, al loro accesso ed alla loro distribuzione anche in posti non sospetti, all'uso del pianeta anche attraverso un tipo di agricoltura che si è fatta industria e non considera la specificità di ciò che commercia.
Si potrebbe parlare di biodiversità, dei problemi delle monocolture intesive, delle deforestazioni per la produzione, tra l'altro, dell'olio di palma (mangiatevelo voi, sia detto per inciso), del fatto che nell'America settentrionale ormai non esistono praticamente più api selvatiche e questa, lungi dall'essere una bischerata (lo so rompono anche le scatole) è una bella rogna, chè sono le api a fare il 70-80% dell'impollinamento in natura e così via.
E non per dare addosso alle multinazionali, per radicalchicchismo, fricchettonaggine o che ne so.
Affatto, anzi, sarebbe anche il caso di dire che non si stava per niente meglio quando si stava peggio. Ciononostante si potrebbe comunque cercare di evitare di tornare a stare peggio, sebbene in altro modo, illudendosi di stare meglio e vedere di permettere anche ad altri di condurre un esistenza decente, chè, per dire, i paesi con più popolazione obesa al mondo, guarda caso, sono paesi del pacifico occidentale in cui le abitudini tradizionali sono state sostituite, anche a causa della povertà, con alimenti confezionati, conservati o cotti in modo discutibile nel più puro stile junk food.
E poi ci sono i milioni che non hanno accesso a cibo e, soprattutto acqua,
Certo sono questioni da affrontare non bruciando macchine e sfasciando vetrine, perchè come dicevo a me, che sarò pure la peggio borghese del circondario, passa la poesia e penso che bisogna essere pirla bene (per citare un babbo che devo conoscerlo bene il suo bambino sebbene poi lo lasci libero di andare alle manifestazioni e fare certe dichiarazioni ai giornali) per ridursi a fare casino per fare casino.
(La prossima volta, se posso permettermi, suggerisco di indirizzarlo verso uno spigolo, di quelli rinforzati con le barre di metallo, ed invitarlo a prenderlo a capocciate finchè non ottiene un arco perfetto).
Detto questo al solito, c'è il discorso "commenti sul web" e "dichiarazioni" ufficiali, nonchè ufficiose.
Emmammammammamia.
Tra i "solo in Italia" (e se fai notare chessò Francoforte poco più di un mese fa, avverti il vuoto da "le notizie dall'estero le leggo sulla Gazzetta"), e i soliti esperti pronti a dare buoni consigli non sapendo dare alcun esempio per cui dovevano ammazzarli di botte/sei un fascista pensa alla Diaz/hanno fatto bene almeno li hanno fatti emergere per ciò che sono/dovevano impedirgli di manifestare/dovevano permetterglielo ma solo in periferia/si è evitato il peggio/facciamo al solito una brutta figura perchè siamo incapaci di fare qualsiasi cosa dove vivo io non sarebbe mai successo (sarà la Cina? l'Arabia Saudita? C'è da chiederselo)
Il mio preferito però, lasciatemelo dire è stato il governatore della Lombardia, uno che il giorno dell'inaugurazione di un'esposizione universale con oltre 140 paesi cosa ha pensato di lamentare?
Ma è ovvio la mancata sospensione degli accordi di Schengen.
Geniale.
Cioè geniale anche così, decontestualizzato, ma se uno pensa che prima, costui è stato ministro dell'interno, allora una simile opinione diventa un capolavoro assoluto, tanto che, quasi quasi, Alfano non ne esce malissimo.
Ce ne voleva, diciamocelo