lunedì 9 giugno 2014

Vecchio, nuovo, conservare, innovare, ripartire.

Oggi mi è presa così.
Ieri leggevo un post, interessante, come sempre, (http://lasciasulluscio.blogspot.it/2014/06/la-minuzia-e-le-dinamiche-da-scrutinio.html) sulla scuola e su come se ne possa ipotizzare un cambiamento.
Oggi ho trovato (http://www.valentinavaselli.com/2014/06/leffetto-varsavia.html) questo bellissimo omaggio ad una casa nuova, ma già molto amata.
Sono settimane che mi trovo coinvolta a vari livelli in una questione relativa all'organizzazione scolatica nel mio comune che da un lato mi fa ghignare come la velenosissima e sarcastica vipera che sono, dall'altro mi apre a riflessioni più profonde.
Ora, superficialmente e per capirsi, la questione è questa il nuovo sindaco (uno che, lo dico a scanso di equivoci, non ho votato) ha deciso di mettere mano all'edilizia scolastica in uno dei paesi sotto la sua giurisdizione per riorganizzare e razionalizzare (vocaboli di moda).
In sostanza la sua idea sarebbe di risistemare l'edificio veramente idoneo e funzionale, esistente ed intervenire sul resto, costruendo una specie di campus alla periferia così da dismettere l'asilo che, sarà bellissimo messo lì nel vecchio villone, ma a tutto risponde tranne che agli standard richiesti per l'uso cui è destinato ed ha bisogno di interventi strutturali e, infine, rendere alla curia l'edificio delle medie, che ha i suoi problemi e soprattutto costa all'amministrazione quei 200000,00 Euro tondi tondi ogni anno di affitto.
Tutt'al più dice, che questi edifici erano previsti quando ogni classe aveva almeno 5 sezioni per anno, ora sono la metà.
Ha fatto bene?
Di più.
Se fa quello che dice, o almeno ne fa buona parte lo voto a nastro finchè non me lo impediscono.
Tutto bene allora?
Ma quando mai!
Se lo stanno mangiando come se fosse pane.
I meno svegli, o i più semplici d'animo se preferite, non tollerano l'idea che, visti i lavori, i ragazzini delle medie dovrebbero andare nell'altro istituto del plesso a 5 chilometri di distanza, perchè l'amministrazione, comprensibilmente direi, preferisce fare "viaggiare" dei preadolescenti che dei bambinetti di prima elementare.
Fanno così tanto casino che la preside (un genio) ha fatto verbalizzare che, secondo lei, sarebbe meglio mandare in giro dei bimbetti che 'sti teneri virgulti sull'orlo della rivoluzione ormonale.
 Gli altri hanno preoccupazioni meno materne secondo me.


E fin qui il veleno
Cioè fin qui la parte che mi viene meglio.
Ora inizia il difficile, leggendo quelle riflessioni, non ho potuto che pensare a come sia giusto, doveroso e bello conservare, ma anche a come sia giusto, bello e doverso innovare.
E a come questo secondo aspetto invece, appaia al limite dell'impossibile in questo paese.
Non è nemmeno troppo difficile capire il perchè: il consumo del suolo è drammatico, le opere pubbliche decise per ragioni diverse dalla pubblica necessità innumerevoli, la sfiducia che ciò che si dice sarà fatto a livelli stratosferici
Anche nei piccoli comuni "nascosti" dove questi atteggiamenti sembrano lontani come la luna, non ci si può esimere da altre considerazioni, forse più intime e perciò ancora più difficilmente estripabili: in Italia c'è già molto, anche troppo, conservare è una cosa che non può essere vissuta come sbagliata o retriva, anzi.
Lo spazio però è quello, ed intendo anche spazio mentale, emotivo.
Si nasce con un bagaglio bellissimo ma pesante e dirsi che lo si è conservato è già farsi un gran complimento.
Questo basta?
No
La soluzione allora  è non conservare se non quelle 10, 10, 1000 meraviglie universalmente note e lasciare perdere il resto?
No
Non mi interessa una scuola che scordi Gentile, ne vorrei una che si ricordasse la Montessori (e non è che abbia 30 anni nemmeno lei, in fondo). Non voglio un posto con le lim in cui non si sudi su Tacito perchè la soluzione tanto c'è (chè la soluzione c'è sempre stata, ma il cervello è ancora un muscolo) o in cui si "esprimano opinioni" su Kant. Voglio una scuola che inserisca gli strumenti e gli argomenti dell'oggi in un tessuto antico, ricamando con la perizia che serve, sull'arazzo che c'è.
Non voglio un paese dove si lascino cadere palazzi antichi per costruire edifici nuovi e magari, pure, brutti, ma neanche un posto dove niente può essere toccato come se girassimo ancora con carrozze e cavalli. Voglio la tranvia 2, 3, 4 e 5, voglio collegamenti con aereoporti seri (e non campi di volo necessariamente imbarazzanti), voglio che nel mio paese, ma anche in centro a Firenze si possa demolire, si demolire, e finisca la pagliacciata della città tutta vincolata.
Firenze è stata pesantemente distrutta durante la seconda guerra mondiale, tutti i lungarni tra i due ponti: a santa Trinità  ed alle Grazie furono rasi al suolo per evitare la distruzione del ponte Vecchio, per esempio. Quei palazzi non hanno ragione di essere vincolati. Uccidetemi, ma credo che quelli, come altri quartieri potrebbero essere toccati eccome. Certo non con grattacieli da 200 piani, ma con interventi mirati perchè no?
Voglio un paese che non perda la sua identità, questo è ovvio, e nemmeno le sue tradizioni. Mi vanno bene anche le più becere.
Mi va bene l'oste che non serve ribollita alle 10 del mattino e perde serenamente clienti che pretendono "spaghetti with meatballs" perchè se diventiamo "come tutti" perdiamo quella particolarità  che ci rende attraenti, ma vorrei che quell'oste potesse spiegare in un inglese (francese, tedesco, russo, cinese, indù) fluente dove se le devono mettere le meatballs i suoi avventori.
Vorei un posto che sapesse ripartire guardando cosa c'è di bello fuori, ma non denigrando cosa c'è dentro.
Insomma la luna.
Però mi accontento, voi zittitemi questi genitori e io poi, torno a sognare in silenzio

2 commenti:

  1. Mi chiedo da quale tipo di ottusità genetica nasca la nostra opposizione al cambiamento. Forse per il piacere della lamentela? O perché come pecore ci buttiamo su chi - a turno - appare decisamente il più brillante così che tutti ci si possa sentire uniformemente mediocri e felici?
    "Vorrei un posto che sapesse ripartire guardando cosa c'è di bello fuori, ma non denigrando cosa c'è dentro" ... mi sforzo di farlo anche se l'abitudine alla petulanza talvolta mi riassale, ma chi cerca di innovare con intelligenza occorre sostenerlo e basta, hai perfettamente ragione.
    Ti auguro che si zittiscano tutti e che la luna splenda.

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  2. Non so sai Marzia, secondo me un po' è esperienza intergenerazionale: il nuovo non è quasi mai stato meglio in questo paese. Un po' è l'educazione che riceviamo, non solo e non tanto a scuola, per la quale sembra quasi ci si debba scusare di essere "bravi" (qualunque cosa ciò significhi) o meglio più bravi di un tot. "Vincere e non stravincere", mi è stato insegnato, per esempio, "non vantarti", anche; e io in queste cose credo, non mi piacciono gli sboroni ed i palloni gonfiati, ma credo anche che il mito dell'"uguaglianza" sia stato malinterpretato troppo a lungo.
    Non siamo uguali ed è sciocco oltre che deleterio pretenderlo, siamo tutti diversi.
    I nostri costituenti che erano molto più intelligenti e saggi di quanto solitametne si dica, non hanno mai detto che siamo tutti uguali, ma che non ci possono essere discirminazioni e che tutti dovrebbero avere pari opportunità.
    Insomma un po' come la costituzione americana che non sancisce affatto, come dicono i più, il diritto alla felicità, ma a cercarla.
    Che è per me, molto di più.
    Quanto alla lamentazione continua, io ci vedo una grande pigrizia dietro, mentale più che fisica e l'abitudine, in tutte le cose, ad aspettare che lo Stato si faccia "mucca dalle grandi mammelle"

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