lunedì 29 settembre 2014

Diamoci del lei ovvero l'elogio della (bella) forma

La lingua italiana conosce l'uso della forma di cortesia.
Non è l'unica ovviamente e nemmeno quella che la impone nel modo più rigido.
In confronto ai giapponesi, per dire, siamo (ovviamente) degli sciattoni, ma anche francesi, tedeschi, spagnoli e russi hanno regole ed usi molto più stringenti dei nostri.
Certo, uno dice, ci sono gli inglesi e tutti quelli che parlano inglese.
Già, ma a parte il fatto che, storicamente parlando, gli inglesi caso mai hanno perso il tu (il thou - thee - thy) e non il voi, non credo davvero ci possano essere dubbi sul fatto che conoscano ed usino altre forme di costruzione lessicale per marcare la differenza tra il buongiorno rivolto alla regina e quello  all'amichetto del proprio figlio.
Insomma noi abbiamo il "lei".
Anzi per arrivare al lei abbiamo anche faticato un po' chè come le altre lingue neolatine a lungo abbiamo avuto il voi; voi che poi era pure tornato di moda nel ventennio quando, non ho mai capito perchè, il lei suonava poco "autarchico". 
Ora, siccome ce lo abbiamo, possiamo usarlo?
Mi rendo conto che l'uso del tu abbia i suoi punti di forza: è informale, dà l'idea di avvicinare gli estranei e di livellare la differenza di età, di ceto, di ruolo, fa apparire il superiore che lo accetta democratico e gli toglie l'aura di fastidiosa condiscendenza quando è lui ad usarlo.
Ma è vero?
Voglio dire l'estraneo che mi pesta il piede, la commessa che mi vende le calze, l'impiegato che sbriga la mia pratica, mi sono più vicini, più rispettosi delle mie esigenze, più educati?
La ragazzina che dà del tu alla cinquantenne mentre entrambe osservano lo stesso mascara, può fare la magia di annullare quei trent'anni?
E davvero un superiore è più efficace nelle sue scelte, più attento, più aperto, meglio in grado di creare un gruppo armonioso se si pone allo stesso livello lessicale del sottoposto?
A me non pare
A me pare che la tendenza ad evitare il lei sia un, troppo comodo, escamotage con cui ci si finge tutti uguali pur non essendolo e non ci si prende la responsabilità dell'attenzione e della cortesia vera.
Quella che parte dal rispetto dell'altro con le sue particolarità e differenze e passa dalla distanza dall'altro.
Distanza intesa  come rispetto degli spazi altrui, come non invasione, come espressione del riguardo dovuto all'ambito privato di ciascuno, per violare il quale occorre una certa dimestichezza se non un espresso invito.
Distanza e forma che non sono formalismo, al contrario, sono cortesia e gentilezza, educazione e rispetto e, perchè no, il segno del riconoscimento reciproco che esistono, ed è un bene, i molti piani, i momenti, le occasioni che, sempre, hanno fatto, fanno e faranno parte della vita associata.
Non è il lei che allontana è la prepotenza, la cafonaggine, la maleducazione, la sciatteria, l'idea che si possa vivere tutta la vita come se non fossimo mai usciti dal parco giochi, dove c'erano solo bambini e mamme distrattte.
Ecco per me è così, e lo dico, lo devo dire, perchè sono rimasta spiacevolmente colpita dal fatto che un essere umano adulto si sia stupito, al punto da venirmelo a ripostare, che Attila (di anni 8, non 2) si sia rivolto usando la forma di cortesia ad una nostra coetanea.
Era meglio se le diceva "scansati vecchia bertuccia?"

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