martedì 28 gennaio 2014

Educazione

Ieri era il giorno della memoria.
Non me lo sono ricordato finchè mio marito non mi ha gentilmente scaricato l'incombente di portare i nani al gioco-lingua al posto suo, chè lui, era stato invitato dall'ordine alla cerimonia commemorativa.
Viaggiando verso casa, mi è tornata in mente la prima volta che ho veramente preso cosienza dell'olocausto.
Ho, di quella mattina, ricordi strani, alcuni nitidi, nitidissimi, altri incredibilmente labili e sfocati.
So che era un giorno feriale del 1981-82, perchè ero in prima media.
So che ero euforica, perchè non capitava spesso, anzi non capitava mai, che riunissero tutta la scuola in palestra per una proiezione ed una conferenza, essere lì tutti insieme, per fare una cosa che suonava tanto "da grandi" e bigiando, senza bigiare, le lezioni, ci rendeva tutti ipereccitati.
Però non ricordo rumori, ricordo solo un grande silenzio, ricordo uno schermo immenso e su quello schermo immagini in bianco e nero, lievemente fuori fuoco, ma molto più chiare, di ogni altra abbia mai visto prima o dopo, su quello e molti altri temi.
Ricordo che volevo distogliere lo sguardo e non potevo, che non volevo distoglierlo ma non potevo sopportare quella vista, ricordo che una parte del mio cervello cercava di negare e un'altra non glielo permetteva.
Ricordo che, per la prima volta in vita mia, ho capito appieno cosa si intende quando si afferma che un'immagine vale più di mille parole.
Saranno anche frasi fatte, ma Anna Frank mi aveva trasmesso la sua angoscia, non preparata a quello che vidi.
Non ricordo facce di compagni o professori, ma ricordo quei signori, che mi sembravano così vecchi e che vecchi però non dovevano essere, seduti dietro a due o tre cattedre allineate, eroici nel testimonaire cosa avevano vissuto.
Mi ricordo le nostre timide domande, la pacatezza delle risposte e i numeri.
I numeri sugli avambracci.
Tornai a casa e tirai giù dalla biblioteca in salotto un libro.
Era "se questo è un uomo".
I mei non erano felici che lo leggessi, ero piccola, ma mi lasciarono fare, ho sempre letto di tutto quando e come mi è parso.
Se scrivo che piansi, non scrivo che una banalità, ma piansi tanto e a lungo, girai per giorni inebetita.
Poi, non troppi anni, dopo sarà stato il 1985, i miei zii mi portarono con loro nel nostro abituale mini tour delle montagne. Il prete che lo organizzava aveva deciso un itinerario un po' diverso dal solito e così scoprii Innsbruck, mi innamorai di Monaco e visitai Dachau.
Dachau per me, ragazzina, è stato tutto quello che c'era da sapere.
Non tutto quello che c'era da sapere sul particolare olocausto di cui era stato luogo e strumento, ma di tutti i passati che la storia ha più o meno pietosamente cancellato, e dei futuri che certo, nonostante la buona volontà, non mancheranno.
Ieri rimasticavo tutto questa mole di amari, ma terapeutici, ricordi e pensavo che dobbiamo portare presto i nani a Dachau.
Prima è, meglio è.
Non ora certo, ancora sono troppo piccoli e non capirebbero altro che l'orrore e la cattiveria, non saprebbero elaborare ed imparare.
La medicina non curerebbe.
Però qualcosa si può fare fin da subito e così, io ieri ho fatto una cosa piccola, insignificante, ho cercato di rafforzare mio figlio nelle sue scelte e nelle sue convinzioni, nella speranza che quando sarà grande sappia restare fermo nei suoi giudizi e coraggioso nelle sue scelte.
Non importa quanto siano impopolari, gli ho detto, ricordati sempre che chi ragiona col cervello degli altri può vendere il suo.
A me ed a chi passa di qui, ricordo che le più atroci mostruosità sono avvenute per la volontà di pochi e l'ignavia di molti.
Saprò di avere fatto il mio dovere se anche uno solo dei mie figli, una volta nella vita, non girerà lo sguardo e non serrerà la bocca.

8 commenti:

  1. "Pensa con la tua testa!" lo ripeto sempre anch'io. A scuola quest'anno (in quarta) hanno affrontato il discorso olocausto in una maniera adeguata, guardando anche dei passaggi de "La vita è bella", che forse è l'unico film adatto a quell'età.

    RispondiElimina
  2. Forse si.
    A volte ho paura.
    Forse farei meglio a dire loro di stare ben nascosti nella massa, ad omologarsi e lasciare fare.
    Ma come si fa?

    RispondiElimina
  3. Purtroppo tendo anch'io ad essere un bastian contrario, ma non vorrei farmi odiare, ad esempio adesso tutte guardano Violetta, e noi zero. Quindi alla fine ho deciso di registrarne una puntata e di mostrargliela.... una basta vero!?

    RispondiElimina
  4. Melinda cara, ma ci incontreremo mai io e te?
    Secondo me una è pure troppa.
    Ammissibile, solo se la usi come vaccino e/o antidoto.
    PErò non sono un buon mentore eh!? Te lo ricordi vero che quando era all'asilo Attila ce lo hanno pure fatto portare dalla psicologa perchè era "strano" e alla fine quella ci ha dsetto che era solo troppo avanti e un po' troppo sconnesso. consiglio: fategli vedere un po' di tv.

    RispondiElimina
  5. Come antidoto? Magari! A loro è piaciuta! Ma rimarrà un'esperienza unica.
    Sarebbe bello incontrarci, anche se un po' mi metti in soggezione, con la tua toga ed il tuo cervellone :-)
    Una volta pensavo che prima o poi ci saremmo viste tutte a Milano con la Pat, ma è passato il momento...

    RispondiElimina
  6. soggezzione?
    1) la toga non la metto mai, è un uso rimasto praticamente solo nel penale e nelle alte corti. Glielo invidio un po' però, perchè, in effetti, se ben portata fa un effettone.
    2) il cervellone, non ce l'ho. Magari -ino
    E davvero non credo di poter mettere in soggezione nessuno, nè di volere

    RispondiElimina
  7. Come no??? Io ti immaginavo con la toga, il codice sottobraccio... un po' stile Dante, magari con l'alloro in testa :-)

    RispondiElimina
  8. L'alloro può essere, se passo troppo vicino al macchione lungo la strada di casa col finestrino aperto ;)

    RispondiElimina