martedì 15 marzo 2016

A tutto ci si abitua

A tutto ci si abitua, diceva la mia bisnonna a una me bambina che non capiva e quindi non ci credeva.
A dirla tutta mi sembrava impossibile.
Nella mia testa c'era una lista lunghissima di cose inaccettabili, incredibili, insopportabili alle quali non mi sarei mai e poi mai abituata: dalle guerre ai finocchi lessi, dalle malattie incurabili ai capelli legati, dai baci in bocca ai terroristi (che a quei tempi erano o rossi o neri e comunque, mai, extracomunitari)
Io, però, la bisnonna la rispettavo e sapevo che se lo diceva, doveva essere vero, perchè lei, di certo, non parlava a caso.
Lei era stata ragazzina nella prima guerra mondiale, era rimasta vedova, a nemmeno trent'anni, con quattro bambini piccini e di un socialista, sotto il fascio, si era fatta la seconda guerra mondiale, la fame vera, aveva attraversato il boom economico ed era sempre lì, a quasi novant'anni, in quella vecchia casa di via Sant'Agostino, con il suo gatto bianco, Leone, il ventitreesimo, come il papa.
A tutto ci si abitua, si trova sempre una ragione per essere felici e una per non esserlo.
Sta tutto in ciò che si sceglie.

La mia bisnonna aveva ragione, ora lo so, ora le credo.
Ora che il babbo torna a casa con il drenaggio infilato ed il sacchetto.
Ora che è chiaro che non lo opereranno nemmeno sotto tortura e non perchè si parano il sedere.
Ora che pesa meno di me
Ora che ho chiamato mia cugina ad un orario improbabile solo perchè mi dicesse le parole perfette ed io potessi dirle, in cambio, che non doveva, non c'era bisogno.
Ora  che ho pianto per strada come una fontana lasciandomi dietro persone interdette che non sapevano se dovevano voltarsi e lasciarmi in pace o consolare quella signora sconosciuta che si imbrattava di mascara come un'adolescente alla prima cotta,
Ora che ho imparato, una volta di più, perchè sono vent'anni che stiamo insieme.

Ora che sono felice di riportarmi a casa un uomo attaccato ad un sacchetto.

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