venerdì 22 maggio 2015

Li ravioli e la cucina di casa.

Abbiamo fatto "li" ravioli.
I ravioli sono un classico della cucina di casa: la mia nonna materna cominciava a frantumare chiunque le capitasse a tiro non appena nascevano le prime foglioline e smetteva soltanto quando su ogni superficie sufficientemente piana della sua enorme cucina c'era un letto di canovacci e farina pronto ad accogliere la produzione. Allora, in genere. attaccava con la storia della pasta (mai abbastanza sottile), con la necessità di essere veloci (chè poi si rammollano e in cottura si rompono), e del sugo poco saporito. Infine, mentre preparava vassoi e vassoi di avanzi per tutti noi (e non per il cane), si lamentava che non era stato mangiato niente.
Ovviamente sorrideva dall'inizo alla fine, piombando su questo e su quello, correggendo, incoraggiando o semplicemente conducendo le sue accuratissime e amorevolissime indagini sui fatti più privati di tutti noi; raramente, chiacchierava.
Era una bellissima festa, cui partecipavano tutti dai più piccoli, per i quali c'erano farina e spianatoia ad hoc, ai più vecchi, dai maschi, ai quali toccava impastare e tirare la sfoglia, alle femmine, dai più svegli a quelli più pasticcioni  perchè comunque male, male " 'u chiù fissu gratta 'u tumazzu".
E poi, si mangiava.
Ci scherzavamo sopra l'altro ieri, a casa di mia mamma, mentre impastavamo 18 uova con un paio di chili scarsi di farina, tiravamo la sfoglia e farcivamo di ricotta e strigoli (altro che spinaci!).
La nostra famiglia è proprio "bastarda" ed è bellissimo, ecco.
Si fa tanto parlare di culture, differenze, distanze problemi, tutte cose vere, grandi, immense, dolorose e poi una sera ti trovi in cucina e fai ravioli.
Fai i ravioli per un imperativo morale, per un riflesso pavloviano indotto da una donna di un paesino delle Madonie che, per i primi cinquant'anni buoni della sua vita, non aveva mai contemplato l'esistenza della pasta ripiena.
Una che da "casa" si era portata roba tipo la parmigiana di melanzane e l'insalata di arance e finocchi, il croccante e gli amaretti di mandorle, la pasta con i "vruocculi arriminiati" o le sarde, la caponata e lo sfincione e non si era fatta alcun problema nel diffonderle presso tutti quelli che le capitavano a tiro nonostante le titubanze degli inizi.
Per parte sua, da contadini dei poderi vicini aveva imparato, quasi da subito, ribollita e panzanella, frittelle di riso e cenci per le feste, l'uso del coniglio, e persino fave crude e brodo.
Poi arrivò mio padre e sia sua madre che suo padre portarono altro.
Mio nonno adorava cucinare ed era bravissimo nella più tradizionale cucina toscana: stracotti, umidi, polpette di lesso, arista e roastbeef, legumi, erbe ripassate in padella, frattaglie (ah il cibreo del nonno!): la sagra del colesterolo.
Mia nonna meno, la cucina quotidiana la scocciava, ma quando decideva che le andava, allora si ricordava di essere romagnola ed erano tagliatelle al coltello, cappelletti, gnocchi e passatelli (asciutti o in brodo), tortelli e strozzapreti, zuppa inglese (e qui ci sta il minuto di raccoglimento)
Questi usi non rimasero confinati nelle rispettive cucine, ma si mescolarono e divennero gli uni patrimonio anche degli altri in un guazzabuglio forse senza capo nè coda, ma gustoso.
Presa la china, non c'era ragione di fermarsi:  da altri posti, per altre vie, attraverso affetti duraturi arrivò di tutto: la polenta da un amico veneto dei miei genitori, gli involtini in foglia di vite da una cugina acquisita, rumena, i jefke (il nome l'ho imparato decenni dopo) di mia zia e la cassata di sua mamma, tortellini, lasagne verdi, bollito dalla seconda moglie di mio nonno, bolognese di adozione. Lei, laSara, ha portato nella mia famiglia anche il gusto per il cous cous, per certi dolcetti di semolino e mandorle e, naturalmente, per il mitico té alla menta servito con arachidi tostate. Roba che aveva segnato la sua infanzia/adolescenza africana.
Poi ci sono stati (e ci sono) gli amici: calabresi e messicani, torinesi e sardi.
Mi piace molto questa cosa che, ognuno, porta qualcosa e tutti ci sentiamo liberi di pasticciarcela a piacere, mia cugina per esempio ci propina paella e baccalà come se non ci fosse un domani in onore della sua nuova casa e, visto che ha tempo, frequenta un sacco di corsi di cucina.
Tra dieci giorni torna e, dice, mi insegna a fare il sushi
Totila non sta nella pelle chè, in questo momento, il Giappone per lui è Shangri-La.
I ravioli glieli abbiamo congelati, ma non so se resisteremo alla tentazione.
Dieci giorni sono lunghi
  

2 commenti:

  1. Te l'ho già detto vero che scrivi proprio bene? Mi immagino un tuo romanzo... "la mia Firenze", stile Simonetta Agnello Hornby.

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    1. Amo troppo leggere per non sapere che menti sapendo di mentire.
      Ma continua pure

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