martedì 14 ottobre 2014

Oggi sono 8, ma presto saranno 20!

Di oggi, o meglio dell'oggi di otto anni fa, ha molti ricordi, come è giusto.
Ricordo mia mamma truccata per la prima e ultima volta in vita sua, e tua mamma impettita e orgogliosa.
Ricordo mia nonna sul nostro divano, il suo vestito a fiori "da nonna a un matrimonio", la gola esposta mentre ride gorgheggiando perchè Attila usa, come sempre, il suo mento come anello da dentizione.
Ricordo mio padre commosso mentre mi sussurra che aveva quasi rinunciato all'idea di vedere nascere suo nipote, accompagnarmi all'altare era qualcosa che non osava più sperare, e sento la mia voce, bassa ma ferma che gli ricorda che io, al mio matrimonio, non voglio piagnistei: c'è un tempo per piangere e uno per ridere. Ma poi me lo abbraccio stretto.
Ricordo laNina, la sua faccia sofferente mentre si sperava inosservata, aperta in un sorriso nell'attimo esatto in cui ha intercettato me e la mia occhiata inopportuna, e la nostra affettuosa discussione su chi delle due avesse fatto o ricevuto il vero e solo regalo di quella giornata. Se servisse lo ripeto anche qui: lei a me. Ma è un'ovvietà.
Ricordo tuo padre ingessato e felice. Ed il battibecco tra te e tuo fratello in chiesa, davanti al fonte battesimale, col prete che ridacchia, su chi dei due mi stesse pestando la gonna e rischiasse di lasciarmi in mutande (contenitive per altro) nel bel mezzo della navata.
Ricordo l'aria sorniona dell'uomo ironia mentre ti passa le fedi e ripensa alla scena di mezz'ora prima: ricerca affannosa, cellulare lanciato contro il muro e ritrovamento miracoloso della fatidica scatolina esattamente là dove l'avevi riposta.
Ricordo Attila che cerca di staccare almeno un po' di pietre dure dall'altare della Madonna cui, tua madre, senza dire niente a nessuno, aveva ottenuto lo dedicassero (sforzo inutile. Diciamolo).
Ricordo gli amici, le battute e gli sfottò, le risate, le danze, le foto e anche, perchè se no non sarei io, la piccola pasticceria e il risotto, il brunello e la vernaccia.
Ricordo le prozie della Romagnia che commentano le mie scarpe di Dior, stampa pied de poule, ed il vestito col decollete ribaltabile e ribaltato, studiato apposta perchè potessi allattare comodamente.
Ricordo le facce degli "uccellatori" (o preferisci "braconi"?) raccolti sotto i portici ad aspettare la sposa per commentare, come da tradizione: espressioni sorprese e pure un filino attonite.
E ricordo l'attimo di panico che ha colto mia zia e la cugina n. 3, frignanti, quando ho rallentanto alla loro altezza, lungo la navata, convinte, seppure per un nanosecondo che io, davvero, avrei potuto attuare la mia minaccia e maltrattarle lì, davanti a tutti.
Ricordo, come se fosse ora, la mia serenità, data dalla ferma convinzione che quel momento era solo una tappa nel nostro percorso, cominciato dodici anni prima, e non aggiungeva o toglieva nulla, ma serviva solo per dire "eccoci, siamo qui" e festeggiare la vita, la famiglia, gli amici ed anche, un po', i braconi là fuori.
Ricordo tante cose e, forse, le ricorderò sempre, ma ho in testa un solo sguardo, il tuo, ed anche quello in un solo momento: l'organista attacca con la marcia nuziale, quella standard, che non volevi, e che infatti abbiamo sostituito con la "nostra" per l'uscita, do il braccio a mio padre mentre stringo il mio stupendo e irrequieto mazzolino, ed entriamo.
Tu ti volti e ci vedi.
Poi ci guardi.
E ti commuovi.
T'ho beccato.

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