giovedì 14 novembre 2013

Tirocinio, il mio e il tuo

Ab ovo ...
Qualche anno fa, insieme a Cicerone ed a Gorgia da Lentini, freschi di laurea come me, decisi di provare a fare il tirocinio forense.
Uscii dall'università con la testa ben infarcita di nozioni, di ardite elucubrazioni, di teorie, insomma di tutto ciò che è indispensabile sapere e fondamentale dimenticare ed andai incontro al mondo.
Avevo guardato, è vero, un po' troppi telefilm americani del genere giudiziario, ma avevo potenti anticorpi che un po' mi avrebbero aiutato.
Primo, i telefilm dell'epoca erano roba tipo Perry Mason, il tenente Colombo, Andy Mc Beal, ed il mitico e mai superato Law and Order; psichiatri forensi, medici legali, scienziati forensi, Nembo Kid e Paperinik non erano ancora pervenuti, e comunque io avevo ben chiaro in mente che volevo, caso mai, diventare un avvocato civilista (accidenti a me, chè i penalisti, ho scoperto poi, si divertono molto di più).
Secondo, sono cresciuta con un babbo che, alla vista di ogni scena riguardante un consulto medico in qualsiasi film o telefilm, scuoteva la testa e non poteva esimersi da critiche feroci.
Per capirsi, non ho mai potuto amare nessun attore dotato di camice bianco dal dottor Kildere in giù  e vi risparmio i commenti sul ER e Dottor House.
Diciamo che avevo bene in mente la distinzione tra: fiction e vita vera.
All'epoca, la pratica durava non meno di due anni, spesso di più, perchè l'esame di abilitazione era a dicembre e quindi se ti laureavi a gennaio, saltavi un turno subito e ripartivi con comodo dal via.
La mia fu equamente divisa a metà.
Il primo periodo lo trascorsi con un dominus giovane e rampante in uno studio in cui si occupavano quasi esclusivamente di ogni tipo di risarcimento dei danni, da quelli medici a quelli conseguenti agli incidenti stradali.
A Firenze, in gergo, si dice che facevamo "parafango".
All'epoca lo facevano in tanti e rendeva bene.
Aveva i suoi vantaggi: mi pagavano con una percentuale sulle pratiche che seguivo e riuscivo a portare a casa, mensilmente, una somma che per me era iperbolica, lavoravo molto e molto in autonomia ed ero sempre nell'arena dal momento che i titolari dello studio preferivano occuparsi della gestione dei clienti e dei rapporti con i funzionari che frequentare il foro.
Certo non c'erano orari, non c'erano garanzie e non c'erano mansioni che potevo rifiutare: a me toccava anche la cancelleria, a me la posta, mia era la frequentazione degli uffici pubblici e mie le trasferte meno piacevoli da effettuarsi di preferenza di sabato chè gli altri giorni c'era da lavorare.
 Ho imparato molto in quell'anno, ho visto e fatto tanto e mi sono fatta un'idea molto precisa su come non volevo fare l'avvocato io.
Il secondo invece, lo trascorsi nello studio di una domina, in un ambiente molto diverso, più pacato e paludato; ci occupavamo di preferenza di diritti reali e contratti, si poteva imparare molto, sulla carta, ma di fatto, non era possibile fare niente, mi venivano affidate solo ricerche e pareri preparatori, non vedevo i clienti, non facevo udienze, non partecipavo davvero alla stesura degli atti.
Facevo la bella statuina e la dama di compagnia, gratis et amore Dei, oltretutto.

Insomma il periodo del mio tirocinio porta in sè i due casi limite in cui possono incappare i neo laureati che cerchino di avvicinarsi alla professione forense.
Due estremi che portano inevitabilmente allo stesso risultato: un fallimento clamoroso, una sberla colossale, una bocciatura preannunciata e meritata.
....Usque ad mala
Cicero e Gorgia hanno fatto la carriera e la fine che hanno fatto, ma io sono ancora qui.
E mi dibatto sempre più nello spinoso problema praticanti.
Non volevamo nessuno all'inizio, poi siamo diventati più possibilisti con i collaboratori secondo l'assunto (sbagliatissimo) che se uno è già abilitato, un'idea di come gira il mondo deve esseresela fatta, poi siamo passati aocnsiderare anche i tirocinanti.
Però: sono abbastanza tronfia e piena di me da non desiderare che qualcuno impari la sua professione a contrariis girandomi intorno, credo che il lavoro anche quello poco più che inutile debba essere remunerato, ma sono anche convinta che, chi si affaccia ad una professione liberale, ad un lavoro autonomo, non debba potere contare su un introito fisso, perchè probabilmente non ce lo avrà.
In questi anni abbiamo visto molti tirocinati, abbiamo fatto dei colloqui e abbiamo preso qualcuno.
E' certo che questo lavoro non è per tutti, ma del resto temo che quat'affermazione possa valere per tutte le professioni
E' certo che c'è gente che, se potesse, chiederebbe a qualcunaltro di respirare per lei.
E' certo che la volontà può molto, ma non tutto, così come il talento.

Però è vero che aver intorno uno curioso e interessato vale molto di più di qualche centinaio di convegni di aggiornamento

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