giovedì 15 febbraio 2018

Autopsia

Questa storia inizia mesi fa.
Inizia con una notizia improvvisa e con una reazione per me tipica.
P è morto, è morto senza nessuna avvisaglia, in una posizione spiacevole e, purtroppo, in qualche modo, pubblica.
La notizia mi raggiunge mentre sono via per qualche giorno con la truppa.
La latrice, nel darmela, aggiunge con il tono perentorio che spero di avere ereditato quando insegno l'educazione, che devo chiamare subito D.
Figurarsi, se c'è una cosa che non faccio mai in questi casi è chiamare con troppa solerzia conoscenti e amici.
Sarò egoista, ma non sopporterei di offrire parole di conforto ed essere vista, invece, come Danny De Vito che va a distribuire biglietti da visita ai traumatizzati negli ospedali (L'uomo della pioggia docet).
Mentre gironzolo per una bella città, mi ritrovo a pensarlo, a pensarli con insistenza, e così alla fine, mando un messaggio.
D mi risponde subito, mi chiede se può chiamarmi, dice che ha bisogno di aiuto.
Nel frattempo sono stata aggiornata e, per quanto mi spiaccia moltissimo sentire i particolari che sento, non vedo davvero cosa potrei fare.
Ci sentiamo ovviamente e la rassicuro, mi interesso, spiego.
Non faccio niente, davvero, recito solo a soggetto la parte di quella che ha competenze specifiche quando, invece, più che altro, offre indicazioni di buon senso.
Mai come in certi momenti si ha bisogno di affidarsi, di ascoltare la bocca giusta, anche se dice solo cose sensate magari già pronunciate da altri; siamo strane creature noi umani, ci piace pensarci razionali, ma non lo siamo poi tanto.
Di promessa di aiuto, in promessa di aiuto, mi ritrovo oggi su un divanetto nero ad aspettare l'ora del mio appuntamento col PM, io che non faccio penale e non ho mai sentito l’esigenza di parlare con un PM .
E' voluta venire anche lei, non ci crede che l'autopsia non sia ancora accessibile, e con tutto il rispetto per il suo dolore e la considerazione per la terribile situazione in cui si trova, sono piuttosto arrabbiata.
Il sistema fa schifo e io ne faccio parte, evidentemente.
Peccato però che io ed il sistema stiamo spendendo tempo e risorse per fare approfondimenti su approfondimenti che dicano (a questo punto solo a lei ed alla sua famiglia, perchè non è emerso alcun delitto) a cosa esattamente si debba attribuire il decesso. 
In effetti, sarebbe stato più civile lasciarla lì così.
Resisto dalla voglia di dirglielo; la mia stizza è francamente puerile, basta guardarla negli occhi per sapere che non avrà mai pace finchè non accetterà che non saprà mai.
Questo non posso non dirle.
Non lo saprai.
Mi odia, lo so, lo vedo, le sto dicendo la verità che non le hanno ancora detto.
Per carità, saprà di cosa è morto, a questo punto sulle cause cliniche non resterà nemmeno un ombra di dubbio.
E quindi?
Che P avesse o non avesse già fatto ciò che si stava preparando a fare, non è forse vero che si stava preparando, non è forse vero che lei neanche lo immaginava?
Non è forse vero che non saprà mai, come, quando, da quando e perchè?
Dopo che le avranno detto si o no, continuerà comunque a chiedersi come sia possibile non avere visto, capito, percepito, anche solo un'inquietudine, un segno.
La verità è che la sua angoscia resterà lì, enorme, finchè non accetterà il fatto che lui non voleva che lei capisse, vedesse, sapesse e prendeva tutte le precauzioni possibili per evitarlo.
Che c'era un posto in cui, semplicemente, non la voleva
Nonostante la vita insieme, la famiglia, le figlie, i viaggi, la musica o qualsiasi altra cosa facesse di lui l'uomo che amava e pensava di conoscere come le sue tasche

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