lunedì 20 novembre 2017

Di palle in volo e perfezione

Tengo in equilibrio moltissime palle di questi tempi.
Alcune sono di vetro sottile, sfere lievi ed iridescenti come bolle di sapone.
Non posso farle cadere, si romperebbero, ma devo anche fare molta attenzione a maneggiarle: una pressione troppo forte nel lanciarle o nel riprenderle e si sbriciolerebbero nelle mie mani; distruggendole, mi ferirei.
Altre sono di piombo, piene, pesanti, non posso farle cadere senza rischiare una fitta nel pavimento ed anche lanciarle e riprenderle richiede un certo sforzo, fletto le gambe per dare slancio o attutire il colpo. 
Altre ancora sono di gomma, se cadessero non succederebbe niente probabilmente, ma l'orgoglio è un grave difetto.
Mentre cerco di mantenere la concentrazione, parlo con un'amica.
Anche lei, come me, è nel ramo degli equilibrismi.
Anche lei, come me, a volte si fa domande oziose.
Mi chiede se, secondo me, abbiamo fatto bene a volere tutto.
Potevamo rinunciare al lavoro, o ai figli, o a stare con i nostri vecchi, o a qualcos'altro.
Rinunciare è parola che non mi piace e quindi le rispondo che non abbiamo sbagliato.
Sbagliamo solo a volerlo perfetto.
Mi guarda di sotto in su, oltre il bordo di una, per me disgustosa, tazza d'orzo, e mi rintuzza, lei non lo vuole perfetto, vuole solo il meglio che riesce a fare, ad ottenere.
Già.
Perfetto quindi.
  

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