mercoledì 25 novembre 2015

E come eleganza

Argomento frivolo, ma forse neanche tanto.
Argomento scivoloso perchè certo eleganza è concetto assai relativo, appeso com'è ad una miriade di condizioni tra le quali spiccano la cultura in senso lato in cui si è immersi, la vita che si conduce e come si è fatti, dentro e fuori.
Argomento in fondo poco impegnativo chè, insomma, si vive benissimo anche senza soprattutto se non lo si è e non ci si tiene.
Ho sempre desiderato essere una persona elegante, anche a 15 anni, e nel tempo il desiderio non mi ha abbandonato.
Per elegante non intendo affettata, impostata, perennemente vestita da cerimonia o, per dirla fine, overdressed, intendo esattamente il contrario.
Del resto l'etimologia è chiara, l'eleganza sta nella scelta, nella capacità di scegliere.
Un capacità che ci restituisca un'immagine piacevole senza essere da un lato artefatta e dall'altra noiosa, semplice ma non banale, che riveli una personalità con grazia senza cadere nel teatro nè nell'omologazione.
Pare facile.
Certo nel tempo, il concetto si è evoluto, si è sminuzzato e ricomposto innumerevoli volte e, come molte delle idee astratte, alla prova dei fatti, ha dovuto accettare l'esistenza di infinite sfumature e prendere atto che ci sono più eccezioni che regole.
Se non ho mai fatto l'errore di confondere l'eleganza con la moda del momento, pretendendo sempre, ma con risultati spesso discutibili, di piegare questa a quella, ho spesso pensato che per essere eleganti occorresse avere stile.
Ma anche lì: cosa è lo stile, dove lo vendono? Ha stile chi paga qualcuno, in un modo o nell'altro, perchè lo vesta?
No.
Lo stile è personalità, uno dei molti modi di esprimerla seppure scegliendo mutande e magliette e quindi, anche, una roba che sa di spreco se ci devi rimuginare troppo, investirci più di un tot, chè se la personalità ce l'hai non passi certo le ore a scegliere le mutande e se non ce l'hai, allora è inutile, tanto lo stile ti mancherà.
E poi magari, proprio come scelta espressiva, l'eleganza può fare schifo, si può preferire il brutto, l'assurdo, desiderare di mostrarsi sempre sopra le righe o uscire col pigiama di pile con le mucchine.
Se ho l'impressione che la personalità sia la base imprescindibile dell'eleganza, di certo sono sicura che non vale il contrario, chè c'è gente dalla mente sublime che pare perennemente scappata di casa.
Quindi, per farla breve, non lo so.
L'unica è guardarsi allo specchio volendosi bene, ma non illudendosi e continuare a guardarsi intorno perchè c'è sempre da imparare.
Anche a contrariis  chè se una vuole uscire in pigiama almeno le mucchine di pile col rossetto per favore no

mercoledì 18 novembre 2015

Parigi a casa mia

Attila ha avuto un incubo.
Nell'incubo eravamo a casa, c'era una festa piena di parenti ed amici grandi e piccini: tutti i compagni delle scuole, quelli del karate, del nuoto, dei corsi di lingua, una multitudine insomma, e mentre eravamo tutti lì (a pestarci i piedi, immagino) qualcuno senza faccia nè nome ha inizato a mitragliare dall'alto, poi forse a bombardare, e c'era sangue ovunque, brandelli di carne viva, bambini morti, adulti agonizzanti.
Un incubo di quelli brutti davvero, tanto più brutti perchè veri.
Niente draghi o dinosauri sanguinari, nessun extraterrestre verde, nessuna generica paura ad attanagliare la gola e fare spalancare gli occhi.
E' così grande, così forte e così sereno in questo periodo, che è stato strano ritrovarselo tremante addosso, bisognoso del contatto fisico, dell'odore della mamma, del tono più che delle parole.
Mi ha detto che a scuola, i compagni parlavano di terza guerra mondiale, del Papa che avrebbe detto chissà che, dei terroristi e dei musulmani, della religione come di uno spartiacque: la nostra e quella altrui.
Gli ho detto che in classe con lui ci sono, e ci sono sempre stati bimbi musulmani, che uno è ebreo (infatti, dice, sostiene che è per quello che lui ha il pisello diverso, e a me viene da ridere), che non mi pare una buona idea distinguere così le persone, che dovrebbe imparare a giudicare le azioni e non la fede, che tutte le religioni inneggiano alla pace e tutte hanno scatenato guerre.
Prova a dirmi che non è vero, che i buddisti no, glielo ha detto lo zio e io demolisco anche questo mito chè diglielo a quella minoranza dal nome impronunciabile, musulmana, in Birmania, che i buddisti sono garbati e poi vedi che belle foto ti mostrano.
Ma non va bene.
Non è questo.
Non voglio che impari che tutti gli uomini sono belve, o possono esserlo.
Anche se è vero, anche se prima o poi, vorrei che lo capisse, che non facesse mai l'errore di pensare che "lui mai" perchè è diverso, ma imparasse a scegliere che "lui mai" perchè ha capito.
Vorrei che si sentisse libero di avere paura di ciò che non conosce, che non gli somiglia, ma che trovasse il coraggio di guardarci dentro e la forza di distinguere tra la paura che ha un senso e quella che è pregiudizio, razzismo, chiusura, superstizione, stupidità che fa danni.
Vorrei che non avesse più incubi, ma se deve averli, ecco, allora sono contenta che in quegli incubi, insieme a Jacopo e Vieri, ci siano anche Indrit e Toshiro 
Perchè niente distrugge i preconcetti più dell'esperienza, se di esperienza ne fai abbastanza.

sabato 14 novembre 2015

Parigi, più o meno

La televisione a casa non funziona ancora.
Non abbiamo una grande urgenza e così abbiamo deciso che potevamo tranquillamente aspettare il secondo appuntamento con l'amico mago, prima era meglio sistemare wireless, nas, ed ammennicoli vari.
In più ieri il babbo era in transferta conferenziera e non è comparso fino alle 22,00. A quell'ora gli unni dormivano e noi abbiamo ingurgitato un vassoio di sushi da asporto e li abbiamo imitati.
Così abbiamo scoperto di Parigi stamani, mentre ci crogiolavamo nel letto, in attesa che i barbari urlanti piombassero a reclamare coccole e colazione.
Non ho molto da dire.
Non sono brava in queste cose.
A dirla tutta faccio un po' schifo in questo genere di faccende.
 Quelle che non mi toccano, ma mi toccano più di altre che dovrebbero toccarmi, perché nessun uomo  è un isola intero in se stesso, ogni uomo è un pezzo di continente, una parte della terra, se una zolla viene portata via dall'onda del mare, la terra intera ne è diminuita....ogni morte d'uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell'umanità.
È stato difficile spiegare ai bambini, inutile cercare di dire da dove, come, perchè (perchè forse), ma è stato fondamentale via via che sui social ricomparivano citazioni della Fallaci, commenti a sproposito, rigurgiti di superiorità cristiana ben oltre il limite del grottesco.
I miei figli vanno a scuola con bimbi di molte nazionalità e non poche fedi religiose, più o meno sentite, non voglio che domani un compagno sia diverso dall'altro ai loro occhi e soprattutto che sia diverso da chi era ieri.
Sarò pazza, avrò il prosciutto sugli occhi e non capirò mai niente di niente, ma io credo nei principi che fondano la mia cultura e questi principi non mi dicono che miliardi di persone sono mostri da respingere e quello che ho imparato mi insegna che le fedi sono sempre state un ottimo paravento per interessi, desideri, bisogni molto, molto terreni.
Se ho torto, pazienza, preferisco vivere così che rinnegare tutto ciò che sono, in cui credo e che cerco di insegnare ai miei figli.
Alla fine, se deve essere una questione di tifo, io sto con Terzani tutta la vita, tanto era fiorentino anche lui è all'Oriana non gliele mandava a dire dietro.




venerdì 6 novembre 2015

E' facile essere tolleranti con le persone che ci sono indifferenti

Wilde mi perdonerà se gli rubo l'incipit.
E poi lui diceva che è facile essere cortesi, non tolleranti.
Forse gli sembrava di più.
In effetti la cortesia presuppone una maggiore attenzione della tolleranza, almeno parlandone in generale.
Nel mio caso invece io faccio proprio fatica ad essere tollerante, sulla cortesia non ho problemi: saluto, sorrido, ringrazio, faccio complimenti ai bambini e mi congratulo per le buone idee e le piccole iniziative portate a realizzazione.
Non provo simpatia, questo no, ma non la provavo nemmeno prima dell'intolleranza.
E' che siamo troppo diverse: a me quelle tutte zuccherose fanno venire le bolle. E' sempre stato così. Le zuccherose che hanno ricevuto in dono, con la maternità, la capacità di trasformare in zucchero tutto ciò su cui posano lo sguardo, poi, mi fanno scappare, odio sentirmi appiccicosa.
Mi spiace essere intollerante.
Mi piacerebbe essere in grado di rispettare le idee e le scelte altrui, sempre e comunque, anche quando non sono d'accordo, anche quando penso che siano stupide, ignoranti, aberranti.
In questo caso però proprio non ce la faccio.
Sarà che quando ti toccano i figlioli, i principi vanno un attimo a farsi un giro, sarà che certi principi sono così importanti che quando confliggono con altri in cui credi, gli altri cedono, non lo so.
So però che la mamma anti gender dell'asilo non la tollero.
E non è che non la tollero perchè dice cose folli irrazionali, patetiche, perchè crede a pseudonotizie che nemmeno il lercio, perchè sostiene la pericolosità di certi libri che a me sono sempre parsi da standing ovation.
No.
Oddio, anche.
Fondamentalmente però non la tollero perchè chiede, anzi pretende, che la classe si adegui alle sue idee, alle sue paure ai suoi timori.
E lo pretende con tanta forza che vorrebbe tutto l'istituto cambiasse il patto educativo in vigore da una decina d'anni perchè ora come ora si "propone lo sviluppo armonico del singolo nel rispetto delle diversità di ognuno".
Sia chiaro lei ha un caro amico gay (come tutti quelli così), ma certe cose non si possono proprio accettare.
Immagino che possa cambiare scuola, perchè non otterrà mai ciò che chiede, ma otterrà una maggiore attenzione in classe, una minore libertà delle maestre nel parlare di certi argomenti o nel creare percorsi ludico - educativi di un certo tipo, nella scelta delle storie su cui organizzare il gioco teatro ed in una miraide di altre piccole grandi cose.
E tutto questo perchè? perchè forse, tra vent'anni, suo figlio o sua figlia potrebbero scoprirsi gay per colpa di chi, da piccoli, li ha lasciati giocare impropriamente con le bambole o le macchinine, ha letto loro di una principessa che ha salvato un principe da un drago (massacrando i congiuntivi), li ha accompagnati nella loro crescita in modo rispettoso delle loro diversità.
Non ce la faccio.
Non riesco ad essere tollerante.
Io, ecco, mi vergogno, ma ho già fatto una cosa terribile: le ho fatto notare che i bagni a disposizione della sezione non sono divisi per sesso

http://video.repubblica.it/edizione/firenze/rossi-legge-la-fiaba-contestata-della-principessa-e-il-drago/216560/215744



mercoledì 4 novembre 2015

Il senso del miracolo

Svuoto scatoloni.
Alcuni sono stati riempiti con metodo ed attenzione.
Altri sono stati stipati di fretta, con cose che si desidera conservare, ma non tornerannno utili per molto tempo, forse mai.
In fondo ad uno dei più grossi c'è una scatola di plastica leggera, si è un po' schiacciata col peso di ciò che stava sopra e la tiro fuori a fatica, perchè è incastrata,
E' trasparente ma di primo acchito si vede solo una massa di bianco, azzurro ed azzurrino.
So cosa c'è dentro e non ho tempo da perdere, come sempre.
Ma questo non è tempo perso, questo è uno dei simboli delle ragioni, delle mie ragioni.
La apro e tiro fuori un fiocco di tela aida, mani pazienti lo hanno ricamato con un nome lunghissimo ed una bella cicogna, altre mani, meno capaci forse, ma altrettanto amorose hanno composto un tripudio di azzurro per festeggiare un altro bimbo, anche lui dal nome lunghissimo.
Niente di sobrio, non era l'intento, servivano a fare trovare il portone alla felicità.
Insieme ai fiocchi di sono due tutine.
Minuscole.
Le sole taglia 0 che abbia mai comprato.
Le sole che abbia conservato.
Non hanno odore, non possono averne, eppure, se tuffo il naso nella stoffa (e lo tuffo), sento profumo di neonato, rivivo, dei parti, i soli minuti che contano, ripenso a quei giorni in cui ne avevo uno sempre addosso, la dolcezza, il piacere di allattarli con quegli occhioni a volte spalacanti a volte socchiusi e le manine che si aprivano e chiudevano come le zampe dei gattini quando fanno le fusa, le primissime scoperte, la reciproca, lunga e insieme brevissima, fase di conoscenza, perchè per innamorarsi bisogna prima guardarsi negli occhi, i minuti passati a sentirli dormire
Il senso del miracolo.
Di là, si danno lezioni di lotta.